La Stampa, 28 giugno 2023
Intervista a Matilde Gioli
Se vi dovesse capitare di incontrare Matilde Gioli a Roma, nel bel mezzo di un ingorgo, e vederla ridere da sola non vi spaventate. Milanese doc, trapiantata nella capitale per amore, confessa di adorare il tono surreale di certo humor romanesco: «C’è una battuta che, una volta, mi ha fatto “riderissimo”. Eravamo a una festa, gli aperitivi andavano per le lunghe, un amico ha detto “Ma quando comincia il pranzo? C’ho una fame che me ‘sto a magnà la saliva"». Ride anche adesso, mentre parla del film di Davide Minnella Cattiva coscienza (oggi al Taormina Film Fest e dal 19 luglio in sala) e ti pianta addosso quei due immensi fanali blu che sarebbe riduttivo definire occhi: «È molto difficile levare la cadenza milanese, parlo una specie di ibrido, prometto che, tra un paio d’anni, sarò migliorata». Siccome, in genere, ci si scusa per la calata meridionale, il fatto che Gioli chieda venia per il suo lombardo dice già molto di lei: «Quando sei curiosa, entusiasta della vita, riesci ad accogliere con gioia tutto quello che ti arriva. Non sono una che storce il naso, so che, da ogni esperienza, riesco ad acchiappare tantissimo».
Nel suo ultimo film si parla di coscienza, lei che rapporto ha con la sua?
«Non sempre facile, né lineare. In alcuni momenti della vita, in cui ero un po’ più ribelle, ho sentito il peso di una coscienza severa, giudicante. Tra i 13 e i 18 anni se non andavo bene a scuola, se andavo in motorino senza casco, la sera, quando mi mettevo a letto, sentivo una vocina … era il mio senso di colpa. A 20 anni ho avuto una fase più incosciente, evitavo di farmi troppe domande e agivo in balia delle emozioni. Non era un periodo facile, stavo iniziando a fare l’attrice, mio padre è morto, a 55 anni, sentivo il bisogno di anestetizzare tutto, anche il dialogo con la coscienza».
Ora come va?
«È un bel momento, sto meglio, sono cresciuta, lascio parlare la mia coscienza senza paura che mi giudichi, ho imparato che il senso di colpa non deve diventare un tormento e che devo sentirmi libera da certi bigottismi. So cosa mi fa sentire sbagliata. Per esempio chiedere sempre scusa, provare una sensazione di inadeguatezza, non dire le cose come stanno».
È sul set di Doc 3. Le somiglia il personaggio di Giulia?
«Passo tanto tempo con lei, sono molto legata a Giulia, stiamo scoprendo insieme mille cose. Di lei mi somiglia il lato pratico, la capacità di mettersi in modalità “problem solver”. Anche io, quando necessario, divento un soldato, lo faccio da sempre, pure in famiglia».
Perché ha scelto di recitare?
«In realtà non l’ho mai scelto. Il Capitale umano di Paolo Virzì è capitato per caso, ero andata a fare un provino da comparsa e mi hanno presa. Non ho mai detto in famiglia che volevo fare l’attrice, è una cosa di cui abbiamo preso tutti atto, mentre succedeva. Mi sono laureata in filosofia, avrei voluto occuparmi di neuroscienza, magari all’estero. Ha pesato anche la morte di mio padre, siamo quattro fratelli, quando lui è mancato ho pensato fosse giusto mettermi a lavorare».
Una ragazza bella come lei a Roma, nel mondo del cinema. Mai subito molestie?
«Fortunatamente no, ho un carattere forte, quando voglio gelo le persone in due battute. Sono estroversa, il mio ragazzo dice che sono una “milanese atipica”, però quella stessa disinvoltura so applicarla anche al contrario, così la gente si guarda bene dal superare certi limiti. Quella delle molestie è una realtà che ho osservato da vicino, è molto triste. Viene sfruttata la voglia di lavorare di tanti giovani, sia maschi che femmine, e chi ha un potere, anche piccolissimo, lo usa al peggio. Qualcosa, però, è cambiato, ho visto attrici più coraggiose, che hanno alzato la voce, senza restare immobili».
Qual è l’aspetto che più differenzia maschi e femmine?
«I modi di ragionare sono differenti. È vero che forse le donne sono un po’ più rancorose e sensibili, è vero che gli uomini tendono a semplificare tutto. Nei miei 33 anni di vita queste diversità le ho sempre notate. Probabilmente è anche una questione ormonale, certe reazioni sono più maschili, altre più femminili. Io ho un lato maschile molto marcato, mi sono sentita dire spesso “questo è tipicamente maschile”. Reagisco da maschio, non so perché, i comportamenti, comunque, sono sempre intercambiabili».
Come vede la sua generazione?
«Penalizzata, ma ancora agganciata a una realtà concreta. Mi preoccupano molto, invece, quelli che hanno dieci o venti anni di meno, nati in piena epoca social, con la possibilità di crearsi una personalità filtrata, il delirio del tutto a portata di clic e la paura di mostrarsi per quello che si è davvero. A differenza di noi, non hanno moschettoni di sicurezza, sono totalmente esposti al rischio di perdere il contatto con la realtà. Se fossi un genitore oggi, cosa che voglio diventare, non saprei veramente come aiutarli».
Da dove verrà la salvezza?
«Dal contatto con la natura e con gli animali. È l’unico modo per sottrarci alla corsa verso un’immagine perfetta di noi stessi. Vedo ragazzi che, a 18 anni, ricorrono alla chirurgia estetica, una follia. Per loro il senso della vita sta nel somigliare ai miti dei social, la loro felicità dipende da quanto riescono a venire bene nelle foto. È un problema grosso».
Che cosa si augura?
«Più rispetto e gentilezza, nei confronti di noi stessi, degli altri, dei sentimenti e della natura».