Corriere della Sera, 28 giugno 2023
La crisi dei 5 stelle
MILANO Sei su sei. Una percentuale da brividi. Già, perché si tratta del ko che l’asse Pd-M5S ha registrato alle Regionali. Praticamente in tutte le competizioni regionali in cui il centrosinistra si è presentato unito ha perso. E i Cinque Stelle non hanno certo brillato: il risultato migliore ottenuto dal Movimento è stato il 7,8% in Liguria. Non certo percentuali determinanti.
«Dovremmo fare una riflessione collettiva se ha senso o meno stare con il Pd. Dovremmo consultare la nostra base», dice un parlamentare. L’esito del voto in Molise ha aperto una faglia dentro al Movimento, eppure nessuno dei vertici (come peraltro già accaduto alle Amministrative) ci ha messo la faccia. Nessuna dichiarazione pubblica per commentare l’insuccesso. Nessuna riflessione sul crollo dal 24% al 7% in soli otto mesi. In tv va Roberto Fico, ospite di L’aria che tira su La7, che taglia corto: «Una sconfitta netta, nessun problema ad ammetterlo. Ci fa avere ancora più voglia di ripartire». E prova a glissare, rimanendo fedele all’idea di un fronte progressista: «Non è che ci dobbiamo deprimere per la sconfitta in Molise. Non è una battaglia che si vince in un giorno ma sarà una lunga maratona». Fico difende anche Conte (che lunedì sera, nonostante negli ultimi mesi abbia espresso diversi pareri critici sull’atteggiamento degli Stati Uniti, era a festeggiare l’Indipendence day a Villa Taverna): «Non credo che a ogni sconfitta politica vada messa in discussione la leadership».
Eppure nel Movimento, in questo momento, per il presidente M5S ci sono tre fronti aperti. Da un lato gli ex big, tagliati fuori dalla regola dei due mandati, che premono per una revisione della norma. Poi c’è un manipolo di parlamentari al primo mandato che non è convinto dalle strategie del presidente e che teme – in prospettiva – un forte calo del Movimento in grado di pregiudicare anche future rielezioni. In terza battuta ci sono alcuni esponenti che stanno facendo il secondo mandato ora, sia in Italia sia in Europa, che si dicono «delusi» dalla gestione dei gruppi («Non c’è condivisione») ed esprimono incertezza su ciò che li attende. Si tratta di una decina, una dozzina di eletti attualmente nelle istituzioni: numeri non eclatanti, ma abbastanza per accendere una scintilla. Soprattutto, alcuni parlamentari non hanno intenzione di donare al partito i duemila euro richiesti (come da regolamento pubblicato un mese fa sul sito M5S). La situazione potrebbe peggiorare e toccare in maniera viva le casse. A maggio, primo mese in cui le nuove norme sono state adottate, hanno versato bonifici solo 30 parlamentari su 80 (il 37,5%).
Una fetta di esponenti M5S vicini al presidente fa muro. «Polemiche esagerate, pompate ad arte da chi vuol danneggiare Conte». Ma in realtà all’interno c’è un clima teso. La cartina di tornasole è un’ipotesi arrivata ai vertici (e tuttora sul tavolo): quella di studiare se esistano incompatibilità tra la permanenza nel Movimento e l’iscrizione all’associazione «Schierarsi», di cui Alessandro Di Battista è promotore e vicepresidente. A completare un quadro già complesso, è arrivata la conferma della condanna in appello a diciotto mesi per Chiara Appendino per la tragedia di piazza San Carlo a Torino. L’ex sindaca era data in rampa di lancio all’interno del Movimento (c’era chi l’aveva indicata come possibile alternativa a Conte, mentre sembrava a un passo la sua nomina a vicepresidente dei 5 Stelle) e ora la sentenza potrebbe frenarne le ambizioni.