Corriere della Sera, 28 giugno 2023
Scenari sul futuro della Russia
«Smuta». È solo una parola, che Vladimir Putin utilizza appena una volta, all’inizio del suo discorso di ieri mattina davanti ai soldati nella piazza delle Cattedrali del Cremlino. Un vocabolo in disuso, che arriva dal russo antico, la cui radice significa vago, incerto. Ormai si legge solo nei libri di storia, per definire quello che noi invece conosciamo come il periodo dei torbidi, la breve epoca durata dal 1598 al 1613 che fu contrassegnata da governanti sedicenti e autonominati, da una lotta senza quartiere tra i boiardi e il potere degli Zar, da una guerra civile, e poi dalla guerra russo-polacca e russo-svedese, da sconvolgimenti politico-statali e da una crisi socioeconomica che ebbe termine solo con l’insediamento dello zar Mikhail Romanov, primo della dinastia durata fino al 1917.
Ma è una scelta lessicale ben precisa. Dietro alla quale si cela un messaggio chiaro. O me, o il caos. Il presidente russo è un appassionato di Storia, anche se poi la interpreta sempre a modo suo. E conosce bene la pancia del suo Paese, quali sono le sue paure più profonde. La prima, che vince su tutte le altre, è quella dell’instabilità, dei torbidi. A Putin non interessa più del giudizio del mondo fuori, ormai si è bruciato tutti i ponti alle sue spalle. Ogni suo discorso è ormai rivolto all’interno, alla Russia che lo guarda. E in questo senso, una figura carica di populismo come quella di Evgenij Prigozhin è perfetta per riproporre in antitesi a lui la figura dell’uomo che si è fatto Stato, per ribadire l’implicito patto sociale che lo lega al suo popolo. Voi mi lasciate governare, io vi garantisco la stabilità. È da qui che bisogna partire, quando si ragiona di un leader senz’altro indebolito dalla rivolta militare, ma che agli occhi di molti russi rimane ancora l’unico antidoto all’anarchia tanto temuta.
«Cosa succede ora? Basta studiare la storia». Yurij Kot, politologo e preside della facoltà di comunicazioni mediatiche dell’Università statale della Cultura, fa ricorso ai sacri testi, ma di un’altra epoca. «Il Paese si trova all’inizio di un cammino, all’insegna dell’incertezza. Nel suo discorso alla nazione di sabato, Putin ha citato il fatidico 1917. Quando nella prima rivoluzione di febbraio, le élite, di concerto con gli emarginati, decisero di abbattere il legittimo potere per continuare a stare sedute sulle loro poltrone, mentre l’imperatore Nicola II le stava invece scalzando. Oggi sta accadendo la stessa cosa. Senza sconvolgimenti Putin sta effettuando una sorta di repulisti ai vertici. O meglio una messa a punto della macchina statale. E infatti molti, anche all’interno di Russia Unita, il suo partito, prima di pronunciarsi a suo favore hanno aspettato di capire da che parte avrebbe tirato il vento. Il tumulto causato da Prigozhin non è finito come per incanto. Anzi».
La percezione
All’improvviso la Russia è diventata un Paese dove tutto può accadere
All’improvviso la Russia è diventata un Paese dove tutto può accadere, ma questo non significa che Putin abbia i mesi contati. L’ex diplomatico Aleksander Baunov, oggi membro del Carnegie Moscow Center nonché uno degli analisti russi più interessanti, ha scritto sul Financial Times che il «pareggio» dello scorso sabato è stato ottenuto al prezzo di un notevole e inedito tremendo stress di sistema. Che pone Putin davanti a un dilemma non da poco. «Il presidente dovrà scegliere se continuare ad agire nel ruolo sempre più precario di protettore delle “élite corrotte” denunciate da Prigozhin, che però hanno maturato un credito schierandosi con lui, oppure avviare una loro purga».
Nessuno si azzarda a fare previsioni, «Putin non ha data di scadenza, non è mica uno yogurt» ribadisce al telefono il suo ex consigliere Sergey Markov. Ma quasi tutti i commentatori qualificati, favorevoli o contrari che siano allo Zar, concordano sul fatto che questa volta il suo cammino è irto di ostacoli. Anche Ekaterina Shulman, ex membro del Consiglio per la società civile e diritti umani presso il presidente della Russia, da quando è stata dichiarata «agente straniero» professoressa ad Astana, capitale del Kazakistan, è rimasta colpita dal silenzio di quelle prime ore della marcia su Mosca. «La popolarità di Putin e i suoi indici di gradimento non sono altro che una conseguenza dello statu quo. Oggi il presidente sta saldo in piedi, ma se vacillerà un’altra volta, la caduta sarà rovinosa. Dopo Prigozhin, qualcun altro ci proverà. È solo questione di tempo».