Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 28 Mercoledì calendario

Biografia di Francesco Figliuolo

Concetto Vecchio per Repubblica

«Sono un ragazzo meridionale di periferia che sognava di diventare alpino». E invece Francesco Paolo Figliuolo — 62 anni a luglio, il liceo classico a Potenza, l’Accademia militare a Modena, missioni in Kosovo e Afghanistan — è diventato il ct delle nostre emergenze. Mario Draghi l’ha trasformato nel Mr Wolf nazionale, affidandogli la campagna di vaccinazione contro il Covid. Ora Giorgia Meloni gli assegna la ricostruzione della Romagna ferita dall’alluvione. La destra l’ha scelto, ma non può che andare bene anche alla sinistra. Una mossa calcolata perfidamente.
È vero che Meloni e Salvini furono spesso ambigui sui vaccini, strizzando pericolosamente l’occhio ai No Vax, ma misero il generale al riparo delle polemiche. Meloni ne riconobbe il cambio di passo, rispetto al predecessore Domenico Arcuri (nominato da Conte), e Salvini, l’estate scorsa, in piena campagna elettorale, disse che serviva un Figliuolo per l’emergenza migranti. Figliuolo è sempre stato bipartisan.
Ma resta una scoperta di Draghi, col benestare del Quirinale. L’ex premier lo nominò Commissario straordinario per l’emergenza Covid il 1 marzo 2021. La copertura dei vaccini era al 3 per cento. Un anno dopo, quando lasciò, sfiorava il 90 per cento. Se siamo tornati alle nostre vite di prima è merito di quella copertura da 500 mila dosi al giorno. Ricordate l’estatedel 2021? Le file ordinate davanti ai gazebo, prima dose, seconda dose, chi si vaccinava lo faceva sapere sui social, «posso godermi le ferie », risuonavano parole come immunità di comunità, open day, e domande tipo «Moderna è meglio di AstraZeneca?», nell’illusione di esserne usciti. Poi venne l’autunno. La seconda ondata. L’insorgere delle nuove varianti, Delta, Omicron, di nuovo chiusi in casa. Sembrava non dovesse finire più.
Figliuolo nel frattempo girava l’Italia, sempre in divisa, spiegava l’importanza dei vaccini, rassicurava sulle coperture, a sinistra non tutti amavano quel tappeto di medaglie esposto sul petto, «a me spaventa un commissario che gira con la divisa», disse Michela Murgia. Intanto la sua popolarità cresceva nei sondaggi. Si parlava di “modello Figliuolo”. Godeva della considerazione generale, tra i governatori l’unico che lo attaccava era quell’attaccabrighe di Vincenzo De Luca. Si parlava di un suo ingresso in politica. Invece poi ha scritto un libro, con Beppe Severgnini: Un italiano, Rizzoli. «Per lasciare traccia di quello che sono: ho vaccinato una grande democrazia». Sposato con Enza, due figli Salvatore e Federico, da poco sono nonni, casa Torino, istruttore militare di sci, confessa di esser iracondo, mediamente permaloso, «diciamo che ho una certa considerazione di me stesso, ma non sono uno che antepone l’ambizione a ogni altro valore: un militare può essere un ottimo professionista anche senza diventare generale. Chi antepone la carriera a ogni cosa sbaglia, e di solito non fa molta strada. In ogni campo, credo». Il governatore con cui aveva collaborato con più costrutto? «Bonaccini», rispose.


Beppe Servegnini per il Corriere

Dovessi riassumere la mia opinione sul neocommissario per la ricostruzione post alluvione in Emilia-Romagna, direi: un uomo che trova romantica la logistica; un militare che conosce la differenza tra forma e formalismo; un italiano innamorato dell’Italia e del suo mestiere.
Ma andiamo con ordine. Tra il 2021 e il 2022 ho scritto un libro con Francesco Paolo Figliuolo e questo costituisce un conflitto emotivo d’interessi. Non ci conoscevamo: mi ha cercato lui, da pochi mesi commissario per l’emergenza Covid. Non ho mai voluto scrivere libri con altri – ho gentilmente declinato le proposte di stilisti, industriali, accademici e almeno due centravanti dell’Inter – ma ho cambiato idea dopo aver conosciuto il mio coautore, la sua famiglia, i suoi collaboratori e i suoi allievi.
Cosa ho capito di Francesco Figliuolo? Che ascolta, per cominciare. Un libro non è una manovra militare. Quindi, anche se lui è un generale a quattro stelle, conducevo io. E l’ho visto imparare molto, in sette mesi di lavoro. Non ho mai dovuto ripetergli una cosa due volte. E sono sicuro che lo stesso accadrà nel nuovo incarico: ascolterà quando c’è da ascoltare, pretenderà decisioni quando ci sarà da prenderne. E non ripeterà le cose due volte.
I rapporti con la politica centrale e regionale? A domanda, nel libro, il generale Figliuolo indica l’emiliano Stefano Bonaccini come uno dei due governatori con cui ha lavorato meglio (l’altro è il friulano Massimiliano Fedriga). Sentimento ricambiato, so per certo. Quindi, in vista di un’operazione lunga, faticosa e costosa, un problema di meno. Il neocommissario è un entusiasta, occasionalmente impulsivo: si arrabbia, poi gli passa. Non tollera i pavidi che si nascondono dietro le procedure: e in Italia ne ce sono tanti.
Francesco Figliuolo ha scelto la carriera militare da ragazzo, a Potenza (da lì viene anche la moglie Enza). È un alpino. So che qualcuno si trova a disagio vedendo una persona in divisa con un incarico civile: Michela Murgia lo disse chiaramente, in televisione. Ripeto quanto le risposi allora: a me sembra, invece, che affidarsi a specialisti militari nelle emergenze sia un’operazione di buon senso, che aiuta a completare la riconciliazione fra Forze Armate e opinione pubblica.
Dimenticavo: il neocommissario Figliuolo è nonno da nove mesi. Quando ci sentiamo – spesso – partiamo sempre dai nipoti. Francesco Emanuele e Agata sono gli italiani di domani, quelli che dovranno raddrizzare un Paese che noi sessantenni abbiamo lasciato crescere un po’ storto.