il Giornale, 27 giugno 2023
La situazione in Russia vista da Sergio Romano
Sergio Romano, ambasciatore in Unione Sovietica dal 1985 al 1989 e grande conoscitore della Russia, è sicuro: la rivolta di Prigozhin impone di iniziare a pensare al dopo Putin. Con il Giornale Romano, 93 anni, traccia un profilo del futuro di Mosca dopo la rivolta della Wagner.
L’effetto delle mosse di Prigozhin sul sistema di potere russo si è fatto sentire. Che conseguenze possiamo pensare creerà?
«La prima conseguenza diretta è la definitiva rivelazione del fatto che Putin non è più un uomo solo al comando, anche se mantiene un elevato consenso politico. Al netto delle esternazioni retoriche contro coloro che ha definito come dei traditori, nell’ora in cui la colonna della Wagner avanzava verso Mosca Putin è apparso quasi defilato, non totalmente in controllo della situazione».
Un Putin non più saldamente in controllo dell’imperium militare...
«Si, una volta di più è emersa la grande complessità dell’architettura di potere russa, in cui ora un elemento fondamentale sono i militari e a fianco di questi le formazioni mercenarie, armate come un esercito regolare».
In tutto questo, quindi, anche se ha scelto di ritirarsi in Bielorussia, Prigozhin non è affatto fuori dai giochi?
«È sempre difficile capire in toto le ambizioni di figure tanto enigmatiche. Prigozhin non è sicuramente una figura uscita fuori dai giochi dopo le mosse di sabato. Con lui dovremo fare i conti in futuro. Quel che sta prendendo forma è un processo che deve portare la Russia a pensare cosa vi sarà dopo Putin: qualcosa su cui fino ad ora si è riflettuto poco».
Lei era a Mosca negli anni in cui si preparava la fine dell’Urss. Che differenza ci possono essere tra quell’epoca e il presente in termini di necessità di transizioni politiche?
«Le transizioni di potere in Russia sono sempre un fatto complesso e non avvengono mai dall’oggi al domani. Anche se spesso nella storia ci sono eventi simbolo che incarnano cambi di paradigma, è più corretto pensare a una serie di processi che si accumulano, a strutture di potere che si confrontano ed entrano in conflitto e a una struttura di Stato che non risponde più e su cui si impone prima o poi la necessità di una svolta».
Spesso con esiti cataclismatici...
«Il crollo dell’Impero nel 1917 e la decomposizione dell’Unione Sovietica furono due esempi di questo tipo. E ora il rischio estremo che la Russia corre è quella di ulteriori spaccature nel futuro sviluppo del dopo Putin. Molto dipenderà dalla variabile che meno possiamo prevedere e controllare: il fattore umano, che in Russia spesso è decisivo. Una tendenza della storia, e un elemento di imprevedibilità, è legata al fatto che spesso quando un ceto politico declina, quello che lo sostituisce è costituito o da figure provenienti dalle retrovie o da uomini che hanno alle spalle biografie oscure».
Sarà così anche in questo caso, nella strutturazione del dopo Putin?
«Dipende. Del resto esistono strutture in Russia come l’esercito e l’industria energetica che mantengono grandi poteri. E un dopo Putin può anche prepararsi con l’attuale presidente in carica».
Sul fronte del conflitto in Ucraina, la rivolta può produrre impatti sul morale delle truppe e sul conflitto?
«Già da tempo si registravano malumori tra le truppe regolari e i militari della Wagner. Ed è naturale pensare che le truppe russe in Ucraine siano logorate logicamente dal lungo ingaggio nel conflitto. Quanto accaduto il 24 giugno non aiuta a creare un clima sereno e può impattare sul morale delle truppe al fronte nel prossimo futuro».