il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2023
Ritratto al veleno di Marina Berlusconi
Come lo zio Putin, anche Marina Berlusconi, 57 anni, erede primogenita dell’impero, vive schermata da numerosi sosia. Uno dei primi l’ho conosciuto. Viaggiava con noi sul Gulfstream della flotta del Biscione, primi anni Novanta, destinazione Cannes, lei salita all’ultimo momento (e controvoglia) col babbo che voleva a tutti i costi scongelare il suo carattere scontroso, portarla nel mondo, obbligarla a parlare con gli estranei. Il Dottore era infervorato. Avrebbe presentato al Carlton Hotel il suo progetto di Televisione Commerciale Europea, contro “i monopoli statalisti e dirigisti”. Dal palco parlò un’ora filata, raccontando un sacco di fanfaluche ai suoi epigoni francesi e tedeschi su libertà di espressione e diritti alla felicità dei popoli, anche se il tema vero era eludere le leggi in vigore, fare quattrini con la pubblicità dei materassi e del doppio brodo, spacciare quiz e ballerine dall’alba a notte fonda, fino al democratico traguardo dell’imbecillità collettiva. Che un bel giorno si sarebbe trasformato nel passaggio a Nord Ovest per l’avventura politica. La sua, prima di tutto. Imitata dal venditore di scarpe Bernard Tapie in Francia, dal molestatore di bionde Donald Trump, dalla cometa alcolica di Boris Johnson.
La sosia di Marina, impersonava una ventenne, ancora adolescente e musona, che se ne restava in silenzio, nascosta dietro a un enorme frangia di capelli biondi. Più il padre la metteva in mezzo, più lei si ritraeva. Fino a quando se la scordò del tutto – nel viaggio di ritorno – e lei rimase laggiù, ultimo divano del jet, minuta e malinconica come Woodstock, l’uccellino amico di Snoopy, quello che scappa anche dai lombrichi. Faceva tenerezza.
Dieci anni più tardi, tutto un altro film. Dentro la cattedrale di Segrate, ultimo piano della Mondadori, una nuova sosia si incaricava di vestire i panni della nuovissima Marina, questa volta nel ruolo muscolare della Presidentessa, in total black, la scollatura audace, le mani in tasca, la spalla destra che spinge verso l’obiettivo, lo sguardo che dice: fatti sotto, se hai coraggio. Lo dice senza dirlo, però. Trattandosi di una sosia perfettamente muta come quella di prima, ma che vuol sembrare contundente. La accudiscono manutentori specializzati. Compreso il ghostwriter Franco Currò, che una volta l’anno scrive e riscrive una torrenziale intervista per il Corriere della Sera – di solito dedicata per un terzo alle formidabili quotazioni del titolo in Borsa, gli altri due terzi a difendere il padre da stallieri mafiosi, igieniste dentali, minorenni, magistrati invidiosi – con foto sempre selezionate da Alfonso Signorini, detto “Alfonsina la Pazza” che di solito cura il reparto psichiatrico del Grande Fratello, l’unico gnomo che ha libero accesso al suo cospetto. E al suo cattivo umore.
Labirintico fu l’apprendistato per fare di Marina quel che Marina sembra. Nasce nell’anno 1966 dal primo matrimonio del padre con Carla Dall’Oglio. Infanzia blindata nel villone di Arcore, niente scuole pubbliche per paura dei rapimenti, un fratello minore, Pier Silvio, ancora più insicuro di lei, schiacciati entrambi dall’onda gravitazionale del padre, che un giorno del 1984, annuncia di avere un’altra compagna, Veronica, una altra figlia, Barbara, appena scodellata in Svizzera, un’altra casa nella campagna di Macherio, bye bye.
Segue il divorzio, la buonuscita, il trasferimento della ex sotto le piogge di Londra e del Dorset, la nuova vita con le straordinarie avventure di una ragazza qualsiasi, commessa in un negozio, la scuola guida, i concerti di Rod Stewart, un fidanzato barman. Quando si stufa, papi le manda l’aereo. E a forza di tornare nella bambagia, Marina decide di rimanere. Con Pier Silvio parcheggiato in palestra, pretende e ottiene che mai Veronica metterà piede oltre il cancello di Arcore. Accontentata. Studia un po’ di Giurisprudenza. S’annoia. Smette. Accontentata. Entra nel vertice di Fininvest, la cassaforte, all’ombra di Fedele Confalonieri. Entra nel vertice di Mondadori, protetta dal filo spinato di Franco Tatò. Guarda, impara la mimica. I libri sono chic, le garbano. Purtroppo la timidezza le impedisce di parlare. In Mondadori la chiamano “la Muta”, pazienza.
In politica non va oltre le litanie anticomuniste del padre. Odia Carlo De Benedetti. Asseconda sempre Gianni Letta. Vigila i conti con Confalonieri. Considera il partito una personale security aziendale, tenuta al guinzaglio grazie ai 90 milioni di debiti che la famiglia garantisce. Una delle sue sosia è appena diventata amica di Giorgia Meloni.
La Marina vera bada alla sua vita privata. Quando si tratta di trovarsi l’anima gemella, sceglie un altro sosia, quello del suo primissimo amore adolescenziale, Miguel Bosè. Si chiama Maurizio Vanadia, fa il primo ballerino alla Scala. Lo incontra frequentando il suo personale chirurgo plastico che la ritocca di anno in anno. Fanno due figli, un matrimonio. Niente foto, niente gossip. Le lunghe vacanze le passa a Bermuda o nella sua enorme villa in Provenza, nel paesino di Chateauneuf-de-Grasse, dove il sindaco vorrebbe tagliarle l’acqua visto che ne consuma in una settimana quanto una famiglia in un anno.
Dopo la morte della nonna Rosa Bossi, anno 2008, e l’addio di Veronica, il babbo perde il senno, diventando pubblicamente “Papi” con coda di scandali rovinosi. Fino alla fuga dal governo, 12 novembre 2011, i conti dell’Italia in malora.
È al quel punto che Marina prende le redini di casa, mentre Berlusconi progressivamente le perde. Tutte le badanti e le fidanzate che entrano in scena, passano al vaglio della sua volontà. Passa Sabina Began, licenziata. Passa Mariarosaria Rossi, licenziata. Passa Francesca Pascale, approvata, ammirata, licenziata con buonuscita. Passa Licia Ronzulli, tollerata, ostacolata, licenziata. Passa e resta Marta Fascina, la Muta gemella. Marina la incoraggia fino alla lunare messinscena del finto matrimonio, presenti tutti al capezzale con torta nuziale alla panna, tranne Pier Silvio che si vergogna. Platealmente Marina la terrà per mano anche nel giorno del massimo dolore, sotto alle funebri navate del Duomo di Milano, come un congedo o un’investitura: vedremo.
A breve toccherà dissigillare la busta del testamento. Marina si siederà per prima e si alzerà per ultima. Nessun sosia si azzarderà a disturbarla. E forse parlerà.