il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2023
Il magro bilancio di Sechi a Palazzo Chigi
Se l’effimera avventura di Mario Sechi a Palazzo Chigi è fallita in modo tanto spettacolare, la colpa è pure delle premesse. A marzo, prima di fare gli scatoloni e insediarsi nel ruolo di capo ufficio stampa della premier, Sechi aveva narrato le sue ambizioni in un epico discorso d’addio ai colleghi di Agi, l’agenzia di cui è stato direttore per quasi quattro anni: “Se l’Istituzione chiama e sei un patriota, e sei un italiano, e sei una persona che ha avuto molto da questo Paese, devi restituire. Quando l’Istituzione chiama, le persone serie rispondono. L’Istituzione ha chiamato e io ho risposto”.
Dunque l’Italia chiamò, ma forse s’era sbagliata: Sechi è durato tre mesi. “È un sacrificio, prima di tutto economico, enorme – aveva confessato nella stessa omelia di commiato dall’Agi –. Nessuno di voi avrebbe accettato”. Col senno di poi, forse neanche lui. Per fortuna è stato un sacrificio intangibile e può già tornare a fare il vecchio lavoro: dirigerà Libero , il quotidiano di Antonio Angelucci, dominus delle cliniche private e parlamentare leghista. Con questa destra, le porte girano a velocità vorticose: il pubblico tende a confondersi col privato e “l’Istituzione” si mescola col mestiere di giornalista (il ministro Gennaro Sangiuliano docet).
Tant’è. Il trimestre di Sechi a Palazzo Chigi non resterà nei libri di storia. Cosa ci ricorderemo? Forse solo la conferenza stampa d’esordio, la sera del 9 marzo a Cutro, a due settimane dal drammatico naufragio che è costato la vita a 94 migranti. Forse per un malinteso e tardivo senso del lutto, quella sera l’immagine del governo era davvero funerea, a partire dall’inquadratura televisiva incredibilmente buia, con i ministri illuminati giusto da qualche taglio di luce fioca, come in un film indipendente. La gestione dei contenuti, altrettanto disastrosa: dovevano essere solo 5 domande, affidate alle principali testate nazionali; è finita invece con un corpo a corpo tra Meloni e i cronisti, con la presidente del Consiglio in chiara difficoltà, incalzata dagli interventi fuori scaletta. Sollecitato dalla segretaria della premier, Patrizia Scurti – “Mario, ferma i giornalisti” – Sechi aveva tentato con sommo imbarazzo di ammansire i colleghi e la sua voce era rimbalzata inopinatamente nella diretta nazionale: “Scusate, però così non va”, “Ordine!”, “È una conferenza stampa, non è un dibattito!”, “Per favore su!”, “Facciamo le cose perbene in maniera professionale”.
Ecco, a scandire i tre mesi di Sechi con “l’Istituzione” sono stati soprattutto i rapporti poco affettuosi (eufemismo) con Scurti e con l’altra collaboratrice storica di Meloni, la portavoce Giovanna Ianniello. L’ex direttore è stato presto marginalizzato dall’inner circle della premier, si sentiva Super Mario ma è finito a fare l’idraulico, ad aggiustare tubi e piccole perdite. Peraltro senza mai tagliare il cordone ombelicale con la vecchia agenzia: tra le attività frequenti di Sechi a Palazzo Chigi c’erano le telefonate alla voce amica della nuova direttrice di Agi, Rita Lofano, talvolta con la richiesta di far cambiare una fotografia o un lancio su Giorgia Meloni. Non proprio obiettivi epocali.
Per il resto, soprattutto nell’ultimo mese, Sechi era sempre più isolato: escluso dagli incontri più delicati, si riuniva solo con il vice Fabrizio Alfano e con altri due colleghi dell’ufficio stampa, Carmelo Dragotta e con Marco Ferrazzoli. Coerentemente con una presidente del Consiglio che replica poco e malvolentieri alle domande, Sechi ai giornalisti non rispondeva quasi più. E non era efficace nemmeno nell’organizzazione dei punti stampa delle frequenti trasferte della premier, che alla fine l’ha escluso dall’ultimo viaggio a Parigi per l’incontro con Emmanuel Macron all’Eliseo.
È andata così: pare che anche Meloni si fosse pentita presto della nomina. Qualche maligno, anzi, definisce Sechi una sòla rifilata alla premier da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni (editrice di Agi). Il grande sponsor di Mario era lui. “Dovete avere sacro, sacro, sacro rispetto di Eni”, declamava Sechi in quell’ormai mitico discorso automotivazionale. Ora i rapporti tra il governo e una delle maggiori aziende italiane dovranno prescindere da lui.