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 2023  giugno 27 Martedì calendario

Elogio del pane

Taranto Due parole chiave, «fresco» e «artigianale», e un paradosso apparente: il solo pane fresco è quello caldo, sfornato ogni mattina. Il pane fresco e quello industriale – ma anche il precotto e il congelato – sono prodotti completamente diversi dal punto di vista nutrizionale.
La Festa nazionale del Pane fresco, sull’esempio della trentennale Fête du Pain in Francia, da quest’anno è organizzata da Fippa (Federazione panificatori, pasticceri, affini) e Lilt (Lega per la lotta ai tumori). È stata scelta Taranto per il seminario conclusivo perché qui la diossina e le altre emissioni cancerogene dell’acciaieria ex Ilva sono entrate nel ciclo alimentare attraverso il latte delle pecore, poi abbattute a migliaia, e hanno causato tumori e leucemie. Mentre il pane fresco e artigianale – nutrimento primario dell’uomo dall’alba dei tempi (14 mila anni fa, in Giordania) – è l’antitesi di una catena alimentare compromessa e l’alimento capofila (con l’olio di oliva) per la prevenzione del cancro.
Il professor Francesco Schittulli, senologo e oncologo, 30 mila interventi chirurgici al suo attivo, presidente nazionale della Lilt, è netto: «Il pane sfornato quotidianamente è privo di additivi, al contrario per esempio delle merendine confezionate e del pane precotto che arriva dall’estero. Il pane migliore è quello fatto con farina integrale. Ma le farine devono essere ricavate da grani non contaminati, per esempio senza glifosato, come invece accade per quei grani esteri importati in Italia (dove l’uso del glifosato è vietato, ndr), miscelati con altri nei silos e poi smerciati sotto forma di pane e pasta italiani».
Panificatori
«Dobbiamo difendere i prodotti artigianali, non va persa questa sapienza millenaria»
Schittulli enumera cifre impressionanti: nel 2021, in Italia, i nuovi casi di cancro sono stati 390.700, cioè 1.071 al giorno, e i morti 187 mila. «Colpa anche – afferma Schittulli – della cosiddetta pandemia Covid, che ha rallentato screening e cure. Cosiddetta, perché a mio parere i 20 milioni di decessi in tre anni vanno considerati come legati “anche” al Covid, e non, come sostiene l’Oms, “di” Covid. Mentre in quegli stessi tre anni i morti di cancro sono stati ben 30 milioni e io stesso sono costretto oggi a fare sempre più interventi demolitivi e devastanti». Perciò, argomenta Schittulli, poiché il cancro è una malattia ambientale su base genetica, le istituzioni dovrebbero investire in salute e non in malattia. «Non serve costruire nuovi ospedali – dice il professore –, ma investire sulla tracciabilità della catena alimentare, perché una alimentazione sana e corretta, da sola, abbatterebbe il 35 per cento dei casi di cancro. E su questo fronte il valore del pane fresco e artigianale è immenso».
Nella realtà le cose non vanno come Francesco Schittulli e i panificatori artigianali vorrebbero. Sembra che la tracciabilità del denaro interessi più di quella del pane. Quale grano, per esempio, scaricano nei porti italiani le navi provenienti dall’estero, nonostante le pressoché quotidiane proteste e blocchi da parte dei coltivatori? I quali contestano la qualità e la purezza dei grani importati, che perciò costano meno e causano anche il crollo dei prezzi dei più proteici grani nazionali. Nel Paese del grande genetista Nazareno Strampelli, «l’uomo del grano», che ottenne varietà ancora oggi tra le più coltivate nel mondo, questo è un paradosso reale e triste.
Lo dicono, da Nord a Sud, anche due panificatori di grande prestigio ed esperienza, Edvino Jerian, di San Dorligo della Valle (Trieste), presidente onorario della Fippa, e Giuseppe Barile, di Altamura (Bari). Jerian, triestino di origine armena, ci racconta della lunga battaglia condotta contro la Commissione europea, che voleva negare ai panificatori italiani l’utilizzo della parola «fresco» per il pane artigianale. «Ci abbiamo messo vent’anni – dice Jerian –, ma oggi anche l’Istat, che una volta parlava solo di “pane”, contempla la voce “pane fresco”. Non dobbiamo perdere questa sapienza millenaria». Barile, invece, è il panificatore che più si è battuto per il famoso Pane di Altamura, il primo ad aver ottenuto dalla Ue il marchio Dop, nel 2003 (i pani Dop in Italia sono in tutto tre, con il Pane toscano e il siciliano Pane del Dittaino). Dopo aver fondato il Consorzio del Pane Dop di Altamura e aver anche ottenuto che il lievito madre con cui è fatto fosse annoverato nella Biblioteca mondiale dei lieviti madre di Sankt-Vith, in Belgio, Barile è stato malamente disarcionato dal Consorzio, che oggi è presieduto, altro misterioso paradosso, da un imprenditore non panificatore di un’azienda che produce pane industriale. Un pane cioè, né dop, né artigianale. «Nella Città del Pane per antonomasia – dice Barile – dovremmo saper fare qualcosa di meglio». Per esempio, una scuola dell’Arte Bianca. Che però, a vent’anni dalla Dop, non c’è. Per il sonno della Regione. Ma anche per quello della nazione, che pure è tra i primi Paesi al mondo per la produzione e il consumo di pane.