Corriere della Sera, 27 giugno 2023
Intervista a Enoa Bonfanti, moglie di Vittorio Feltri
Elvira Serra
Enoe, la moglie di Feltri: «Il mio regalo per i suoi 80 anni? Sono io»
E noe Bonfanti è una signora di 85 anni dalla dolcezza struggente e la tempra d’acciaio. Riservata per carattere e scelta, da 55 è la moglie di Vittorio Feltri.
Cosa gli ha regalato per gli 80 anni?
«Niente, sono io il suo regalo. E lui lo sa».
È stata la prima a fargli gli auguri, domenica?
«Sì. Quando l’ho svegliato gli ho detto: alzati, vecchione! E ho spalancato le finestre della sua stanza».
Quanta pazienza c’è voluta fino a qui?
«Tanta. Mi è venuto in soccorso il fatto che lavorava molto per cui ci si incontrava poco, vero Babbo?», chiede al marito seduto accanto a lei nel soggiorno della loro casa milanese, con Fiorenza, nata come Mattia dalla coppia, Paolo, il nipote cresciuto come un figlio, e la compagna di lui, Clelia. Mancano Laura e Saba, le gemelle di Vittorio e Maria Luisa, morta ventenne.
Il suo difetto più grande?
«È un gran borbottone. E se non ha tutte le sue cose a posto tira qualche bestemmia».
Il pregio?
«È diretto e non porta rancore, dopo una lite si ricomincia da capo. Ed è generoso».
Mi faccia qualche esempio.
«Beh, ha ricomprato le campane di Guardialfiera, in Molise, dove andava con gli zii durante l’infanzia. Durante il Covid ha aiutato economicamente una prostituta del quartiere che aveva dovuto smettere, perché la sua bambina era tornata a casa dal collegio: alla fine le ha anche trovato lavoro in una biblioteca».
(«Precisiamo che non sono mai andato con una prostituta», tuona il patriarca).
Lui dice che non l’ha mai tradita: ha «diversificato».
«Le sue diversificazioni sono state molto fastidiose e non mi sono mai piaciute. Giurava di non farlo più, ma giurava il falso. Diceva che erano sciocchezze: si giustificava come quelli che fanno le corna e minimizzano».
(Lui: «Che brutta parola le corna!». Lei: «Sì, ma è brutto anche farle!»).
Si è scoperto dov’era finito quando sparì per tre giorni?
«Avevo chiamato il suo amico Botti per sapere dove fosse. “Sarà in qualche bisca a giocare a carte”, rispose. Però deve averlo avvisato perché quella sera tornò. Abbiamo provato a chiarire, ma non c’era niente da chiarire...».
Perché non lo ha lasciato?
«Non ero indipendente economicamente, dove andavo? Mia madre era morta e mio padre viveva in Val Seriana, lì c’erano appena le elementari, che futuro avrei garantito ai nostri figli? E poi non avrei mai voluto che crescessero lontani da lui».
Ricominciò a lavorare.
«Dopo 10 anni dalla nascita dei figli andai a Rete 4. Facevamo le scalette dei programmi. Un giorno venne Berlusconi e chiese al direttore di conoscere la moglie di Feltri. E quello: “Ma non lavora qui”. Lo scoprirono così».
Vita di coppia
È un gran borbottone Guarda l’Atalanta in tv al piano di sotto e quando segna mi telefona
Liti memorabili?
«Normali. Lui tende ad alzare un po’ la voce e siccome sono permalosa gli tengo il muso. Ma tanti anni fa mi sono imposta di fare subito la pace e così è più contento».
Avete condiviso la passione dei cavalli?
«No. Però quando vivevamo in cascina avevamo un cavallo, Miguel, al quale lavavo sempre il muso con una spugna d’acqua. Un giorno Vittorio mi propose una passeggiata. Non ero mai salita sul cavallo e Miguel saltò non so quanti fossi: ma era lui a portare me, si era affezionato! Gli altri li disarcionava, un paio li mandò pure all’ospedale».
Vita mondana con Vittorio?
«Mai fatta. Quando ha preso il Premio Ischia mi ha chiesto di accompagnarlo, e io sono rimasta in albergo a pulire i gerani del terrazzo della stanza: mi sono divertita».
Chi era più severo coi figli?
«Io. Quando dovevo dargli uno scapaccione ero costretta a chiudere in una stanza Narcisa, il nostro cane, altrimenti me lo impediva. Era lei a tirare via le coperte al mattino quando andavano a scuola».
Lo segue sui social?
«Poco e non sono d’accordo con certe cose che scrive: io non lo farei mai».
È maschilista?
«No, sono sicura di no perché considera le persone come persone, maschi o femmine che siano. Non giudica quello che uno fa, dice che sono cavoli suoi. L’ho visto anche con i figli: Mattia si rifaceva il letto, aiutava ad apparecchiare e sparecchiare come le sorelle. E quando loro dicevano di voler fare le principesse, replicava che dovevano studiare, scegliere una professione ed essere indipendenti».
Quando si è ammalato si è spaventata?
«Molto. Qualche volta mi disperavo e poi mi facevo coraggio. Diventa difficile, dopo tanti anni, immaginare di non poter più stare insieme».
Come vi chiamate?
«Io lo chiamo Babbo e lui mi chiama Bonfanti».
Un vostro rito domestico?
«Guarda sempre la partita in questa stanza. Quando l’Atalanta segna mi chiama al telefono al piano di sopra. Se non sento nulla ha perso».
Una carineria?
«La domenica usciamo per prendere i giornali e andiamo al Bar Basso per il caffè e l’aperitivo, tenendoci per mano».
Cosa l’aveva colpita quando vi siete conosciuti?
«Intanto mi ero affezionata alle gemelle, che portava nel brefotrofio di Bergamo dove ero puericultrice. Parlava diversamente dagli altri, mi piaceva ascoltarlo. Avevo 30 anni, prima di lui uscivo con un altro, benestante, mentre Vittorio era povero in canna, lavorava alla Provincia. Mia mamma non era molto d’accordo. Diceva: è brutto avere la matrigna ed è brutto fare la matrigna. Poi è andata così».
E così com’è andata?
«Abbastanza bene».