il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2023
I necrologi di Rossana Rossanda
“Si dicono tante cose nel bene e nel male dei partiti, ma ce n’è stato uno, che non era come gli altri, il Partito comunista, fatto di gente come Michele, fedele per una vita, che nulla chiesero e nulla ebbero se non un’idea o una speranza che impedì a lungo all’Italia di diventare la mucillagine di adesso”. Scritte il 1° ottobre 2008 per ricordare Michele Rago, giornalista comunista, francesista e traduttore scomparso in quei giorni, le parole di Rossana Rossanda (1924-2020) riassumono con efficacia Volti di un secolo. Il Novecento in 52 ritratti. Il volume, appena pubblicato da Einaudi e curato da Franco Moretti, raccoglie (grazie a Doriana Ricci) alcuni dei necrologi d’autore che la Rossanda scrisse per il manifesto, di cui fu una delle fondatrici. Dialoghi con chi se n’è andato, soprattutto con chi ebbe come Rago quell’idea e quella speranza di cambiare il mondo, il nostro Paese, tra utopia e realismo, sogni e illusioni, drammi e rare vittorie. Le idee di chi, come il compositore Luigi Nono, pensava che anche le proprie creazioni artistiche, note o parole, rammentò la Rossanda, “erano un modo di capire e battersi per una società dove un uomo potesse essere un uomo”. La “ragazza del secolo scorso”, come recita il titolo di un suo libro, intrattenne quei dialoghi sul “quotidiano comunista” per anni, memore di ciò che un “compagno cileno” le aveva detto, disperato per la morte del rivoluzionario Miguel Enriquez: “Con i morti non si parla”. Lei aveva risposto: “Non è vero”. E ne aveva scritto, ci aveva parlato, osserva Moretti. Perché parlare con loro, dirà la Rossanda a proposito dello storico del Pci Paolo Spriano, è conservare nell ’Italia della mucillagine il “senso di essere rimasti in pochi a parlare, almeno, un linguaggio in cui ci si intende anche quando si litiga”. È certamente un’autobiografia del secolo breve, questa galleria “in morte di” che la Rossanda andò componendo tra gli anni Settanta e il 2012. Un’antologia di storia, quasi sempre di grande tragica storia, in cui si affollano leader, dirigenti, intellettuali, a volte militanti e basta, spesso eretici rispetto alle linee ufficiali dei partiti del movimento comunista e socialista. Ovviamente spiccano i nomi importanti: dal filosofo marxista György Lukács a Pablo Picasso, da Salvador Allende, a Mao, Aragon, Giorgio Amendola, Enrico Berlinguer, Giulia Schucht (la compagna di Antonio Gramsci), Sartre e Simone de Beauvoir, Lelio Basso e Aldo Moro, Guttuso e Sciascia, Riccardo Lombardi e Terracini, Palme e Sacharov. E poi Pasolini e Luchino Visconti, Adriana Zarri e Maria Callas, Ava Gardner,Natalia Ginzburg e Christa Wolf, Carla Casalini eTitina Maselli, Camilla Ravera, Luigi Pintor, Mauro Rostagno. Ma c’è un tema di fondo, un eterno ritorno, che innerva le memorie salvate dalla Rossanda: il rimarcare, tanto per Amendola che per Umberto Terracini, per Mao e per Aragon, “che si è spento un comunista”. Come scrive quando muore Berlinguer: “Che la sua linea fosse del tutto diversa da quella che, a nostro avviso, il Partito comunista avrebbe dovuto seguire, non lo fa meno comunista”. Essere comunista, pertanto, non significa soltanto avere fatto parte del Partito, del movimento operaio, ma vuole dire esserlo anche come lo fu la scrittrice della Germania Est Christa Wolf. Scrisse la Rossanda, peraltro lontana anni luce da quel socialismo, che da noi le “anime belle” si sdegnarono perché il manifesto l’aveva commemorata, sebbene avessero scoperto che la Wolf era stata informatrice della polizia segreta della Germania rossa, la Stasi. Ricordare, però, è capire, non eludere il contesto storico di un fatto, di una convinzione ideologica, di un’adesione politica. Comprendere, in sostanza, che la Wolf ha la “persuasione, mai dismessa, che avere un posto di lavoro, un alloggio, una scuola aperta fino agli scalini più alti, una assistenza sanitaria siano dei diritti umani”. Tutto questo, quel welfare socialista, per lei valeva il prezzo della libertà. Tuttavia, come aveva fatto la Wolf, si domandava allora la Rossanda, “a essere persuasa di essere uscita dalla dittatura”, quella nazista, “mentre non faceva che entrare in un’altra dittatura”, quella comunista? Eppure l’aveva fatto: anche quello era stato, ahinoi, essere comunisti. Volti di un secolo viene presentato dall’Einaudi, giustamente, come l’ennesima testimonianza dell’impegno di Rossanda. In cui emerge “il coinvolgimento e l’appartenenza” dell’autrice “a quel secolo contraddittorio e irripetibile che ha creduto nella memoria”. Il 16 aprile 1987, parlando del suicidio di Primo L evi, la Rossanda affermò che forse, in quel suo gesto, c’era il timore o la consapevolezza, entrambi terribili, “che la stampa lo considera una vittima di Auschwitz e non dell ’oblio di Auschwitz”» @font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin-top:0cm; margin-right:0cm; margin-bottom:10.0pt; margin-left:0cm; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoPapDefault {mso-style-type:export-only; margin-bottom:10.0pt;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}