il Giornale, 26 giugno 2023
I primi 30 anni di Heinz Beck
Era un giorno qualsiasi del 1994 quando uno chef appena trentunenne nato in un posto quasi imrponunciabile, Friedrichshafen, sul lago di Costanza, arrivava a Roma per insediarsi alla guida del ristorante in cima a uno degli alberghi più iconici della capitale, quel Cavalieri Hilton (nel frattempo diventato Rome Cavalieri, a Waldorf Astoria Hotel) che domina la città eterna dalla collina di Monte Mario e che nessuno sguardo può ignorare. La Roma in cui Heinz planava senza conoscere una parola di italiano era gastronomicamente molto arretrata, solo quattro ristoranti avevano una stella Michelin (Relais Le Jardin, Quinzi&Gabrieli, La Rosetta e Checchino dal 1887) e tutti l’hanno persa con il tempo, anche se alcuni di essi continuano a lavorare onorevolmente.
Basta questo per capire quanto lo chef tedesco abbia cambiato la storia dell’alta cucina romana. Beck da vero secchione si mise sotto a studiare la lingua e la cucina italiana, esibendo quel classico rispetto filologico nei confronti delle nostre materie prime, delle nostre tradizioni, delle nostre ricette. Nel 1998 alla Pergola plana la prima stella, che nel 2001 diventano due e nel 2006 addirittura tre, cosa che non era mai accaduta, né mai più avverrà, a Roma. Si può quindi incontestabilmente sostenere, guida rossa alla mano, che da ventidue anni Heinz Beck lo chef di Friedrichshafen sia il re gastronomico di Roma. Un dominio incontrastato, quasi una tirannia, che per un periodo è sembrato fare quasi da tappo allo sviluppo di una vera alternativa di alto livello nella capitale, tanto Beck sembrava irraggiungibile, ma che invece negli ultimi anni ha generato una serie di competitor credibili, così che Roma vanta oggi tre due stelle (Acquolina, Enoteca La Torre e Il Pagliaccio) e dodici monostelle. In quasi trent’anni la capitale è passata da 4 a 21 stelle. Potere dei grandi esempi.
Possiamo ora dire che si sta per chiudere la prima grande stagione della beckitudine. Tra pochi mesi, in autunno, la Pergola chiuderà, e ripartirà in aprile con un décor tutto nuovo e con molte nuove idee in cucina, «che non ti dico perché le novità sennò non sono novità», dice Beck. Così quella che ho fatto qualche giorno fa in una languida sera romana di giugno è stata la mia ultima cena nella Pergola 1.0. Una celebrazione personale santificata dalla sorniona bravura del sommelier Marco Reitano e dal sottile fascino del restaurant manager Simone Pinoli, guida attenta e sicura. Quanto alla cucina, una raffica di piatti tutti nuovi, con qualche discreta autocitazione, dai piccoli finger food (notevole il Cono di patate con crema di grano e sambuco) al benvenuto affidato a un Dentice marinato con erbe di montagna, gel di limone, salsa di acqua di basilico, spinaci e semi di chia. Stupefacente il viaggio in Cappadocia, il cui check-in è obliterato da un sedano rapa bagnato con acqua di mare, con dentro tartare di ricciola, caffè d’orzo alla turca, bevanda a base di yogurt e datteri, piccoli ravioli che hanno la forma dei camini delle fate e la dinamica dei dervisci rotanti. Poi il Salmerino con cannolicchi, lo Scampo crudo marinato in olio al cetriolo con ragù di peperoni e gazpacho verde, un Tortello ripieno di fave, gamberi bianchi, zucchine e salsa di piselli, l’Agnello con foglia di bieta, cipollotto e crema di lenticchie e una salsa di coratella con cagliata di pecora. Chiusura con un Ricordo di crostata e con la imperdibile piccola pasticceria nella scatola magica. Quando faccio notare a Heinz che la sua cucina mi sembra sempre più essenziale lui non nega ma spiega che «non voglio stressare gli ospiti con tutto quello che sta dietro a ogni singolo piatto, studio, tecnica, equilibrio ricerca». Non c’è cosa più difficile della semplicità.