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 2023  giugno 26 Lunedì calendario

Ritratto al veleno di Carlo Cracco

Poi è arrivato Carlo Cracco e le donne italiane, fino a quel momento in dieta permanente, hanno cominciato ad appassionarsi all’uovo marinato.


Che è un pessimo attacco per un articolo, ma un ottimo incipit per una carriera da mastro cuciniere.


Carriera spumeggiante e Vespaiolo Spumante Doc, commander-in-chief di tutti gli chef televisivi, cuochi, capocuochi, gastronomi, gastronauti, food travelogue e cocineros, Carlo Cracco  da Creazzo, Creàso, terra di fichi succosi, del broccolo fiolaro e di vicentini magnagati  è sempre in cima alla pregiata lista degli chef influencer italiani, assieme all’allegra brigata di amici e nemici - «A l’amigo se péla el figo, al nemigo se péla el pérsegò»  come Bruno Barbieri, Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Massimo Bottura. L’Italia, purtroppo, è ciò che mangia.


Più macho rispetto a mamma Barbieri; meno internazionale rispetto all’ambassador Locatelli, homme du monde anche se l’è de Vergiàa; più ingessato e meno verace del Monzù Cannavacciuolo; infinitamente più populaire dell’intellettuale Bottura (un guru che ti impiatta insegnamenti di vita conditi di retorica e di cazzate come quella della cucina sostenibile e responsabile), Carlo Cracco, assurto a divinità in un Paese di affamati che parla solo di calcio, fig* e di cosa ha mangiato la sera prima, non si sa se sia migliore come cuoco, come imprenditore o come attore.


Come cuoco - insalata russa caramellata, minestra di parmigiano con fiori misti e polpettone con una salsa persino superiore a quella che Miguel de Cervantes diceva essere la migliore del mondo: la fame  Cracco ha una squadra blu di ammiratrici e una rossa di detrattori. La prima vorrebbe assaporarselo tutto: «Carlo... uhmmm... stasera voglio succhiare il tuo astice»... La seconda sostiene che la sua cucina sia puro marketing: manca il retroterra culturale, un assembramento di ingredienti costosi senza tradizione né fantasia. E poi Cracco, 1,83 per 78 chili e due etti di prosciutto veneto berico dop, è fisicamente magro, quindi non credibile. E anche affascinante, e come ha fatto notare qualcuno, non va bene: quando porti una donna a cena fuori, il più bello devi essere tu. Come imprenditore invece è coraggiosissimo: la sua storia di ristorazione è una carta di sfide, fallimenti, successi e perdite. Ha aperto e chiuso più locali che cassetti della cucina, a volte azzeccando il piatto (Carlo e Camilla in Segheria o il ristorante marinaro a Portofino) altre meno (la chiusura di Garage Italia col divorzio da Lapo Elkann o il super Cracco in Galleria a Milano: il sogno di una vita, poi è arrivata la pandemia e l’insostenibile pesantezza dei debiti). E poi c’è l’attore, che, va detto, è imbattibile: tanto di cappello Che in cucina di dice Toque blance. Carlo Cracco è bravissimo. Masterchef assoluto. Come appare in tv, è esattamente il contrario di come è. Tanto sembra sgradevole, scontroso, sadico - «La carbonara te ghe fè ai to amici», «Veloceee!!! Veloceee!!! Veloceeee!!!», «Te lo tiro drio»  quanto in realtà è gentile, umile, garbato. Ma costretto a fare la parte. Che gli riesce benissimo. Paranza e paraculo. In cucina non si può ingannare, ma davanti alle telecamere vince il più bravo a far finta di essere quello che non è. 


Domanda. Ma un cuoco arriva in tv perché è bravo o diventa bravo perché è passato dalla tv?


Una risposta può essere la carriera, testa bassa e haute cuisine, di Carlo Cracco, uno fatto alla sua maniera. Carlito’s way. 


Ne hai di strada da fare se parti dall’istituto alberghiero di Recoaro Terme, ai confini dell’impero del gusto, a est del profondo nord, direzione ristorante Da Remo, Vicenza... Ma se vuoi svoltare devi passare da Gualtiero Marchesi, la Milano da bere e da mangiare degli anni Ottanta. Cracco ha fame e sete. Si scola due stelle all’Enoteca Pinchiorri a Firenze, torna da Marchesi, poi lo tradisce  da cui la celebre frase Tu coquus, fili mi!  quindi apre Le Clivie a Piobesi d’Alba, dove s’appunta al grembiule un’altra stella, poi lancia a Milano il Cracco Peck. E dopo, da via Victor Hugo alla Galleria è un lungo percorso di degustazione. Applausi, salassi (pesanti, per i clienti), critiche e lodi (uguali), invidie (tante), copertine (quella di GQ con la cernia e le modelle nude fu censurata dal Giurì perché lesiva della dignità femminile), polemiche (lo stucchevole tormentone della pizza Margherita a 16 euro, poi è arrivato Briatore e l’ha fatta pagare 22, e fra le due non si sa quale sia meno peggio), pubblicità (dalle patatine croccanti di San Carlo Cracco al Coltello Masterpro by Carlo Cracco in acciaio inossidabile con manico soft-touch, perfetto per tagliare, sminuzzare e frantumare piccole ossa, e anche i coglioni...) e abilissime operazioni di réclame, come «il panino allo zafferano Oro Rosso». Non ne sentivamo il bisogno, ma ci tocca anche il caviale di senape e l’oro commestibile.


Un dubbio. Ma chi sperimenta locuste brasate al vino rosso e crema di riso cosparsa di larve cotte è un genio o un furbo?


Cinquantasette fascinosi anni, segno naturalmente Bilancia - quella da cucina digitale Masterpro by Carlo Cracco, design elegante e display LCD retroilluminato - due matrimoni (la seconda moglie, una pierre romagnola molto smart, che gli ha rifatto trucco, look e parrucco, l’ha conquistata sfornando un piccione con patate e castagne...), quattro Cracco-figli svezzati a carne di fagiano e salame di Mantova (ma oggi Cracco-padre è quasi vegetariano), sei ristoranti fra aperti e chiusi, cinque stelle Michelin, un’azienda agricola a Sant’Arcangelo di Romagna dove produce frutta e beve vino, sei programmi tv, dieci libri (e gli editori dicono sia pignolissimo, che in Veneto si dice ’na sbàlonada nei cojoni), parecchi fuori menù (catering, consulenze, show coking, banchetti, missioni all’estero...), pochi allievi, molti fan e un rosso cronico nei conti, come da inchiesta Report sui bilanci dei mega cuochi. Vi siete mai chiesti cosa ci faccia Carlo Cracco nel suo living Scavolini? Ecco, appunto. I debiti coi ristoranti si ripagano in tv e sui set pubblicitari.


Per il resto, al netto di qualche performance non proprio azzeccata (il suo menù sul Frecciarossa non raccolse il plauso dei clienti, nemmeno tra i suoi fan più accaniti, e sorvoliamo sull’uovo di cioccolato extra lusso firmato, la Pasqua scorsa, con Fabio Fazio), al netto degli ospiti-prezzemolo scelti per il suo Dinner Club (Littizzetto, Favino, Zingaretti...), e al netto dell’aglio nella ricetta dell’amatriciana, Carlo Cracco è persona, dicunt, con la quale se ci esci a cena, meglio in un ristorante di qualche suo collega, ti diverti. Anche se risponde a monosillabi (ma non è un male: Cracco piuttosto che parlare per niente parla poco, mentre Bottura che crede di avere molto da dire alla fine parla per niente), e il suo senso dell’ironia è pari al tartufo che mette nei tagliolini d’uovo marinato (pochissimo). Ed è anche particolarmente permaloso. Se gliela fai, poi se la lega al mestolo. Come con il suo primo maestro, Gualtiero Marchesi. Il quale, per i suoi ottant’anni, era il 2010, andò a cena da Carlo Cracco. «E come ha mangiato?», gli chiesero. «Non ricordo» fu la risposta. Che è la peggiore delle stroncature.


Va bene. L’articolo è finito. Come si dice dopo aver cenato in un ristorante stellato: e se adesso andassimo a farci una pizza?