La Stampa, 26 giugno 2023
I tentacoli della Wagner
Che il capo mercenario di Wagner Yevgeniy Prigozhin stesse pianificando un piano contro i vertici della difesa russa era noto all’intelligence statunitense da alcune settimane secondo quanto riportava ieri il Washington Post.
Particolari cominciano a emergere il giorno dopo l’azione di ieri, la presa senza feriti e resistenza di Rostov, la marcia su Voronezh, la risposta di Putin mentre gli uomini e i mezzi della milizia Wagner marciavano verso Mosca, prima della (ancora oscura) trattativa apparentemente mediata dal leader bielurusso Lukashenko, e il passo indietro di Prigozhin. Non erano certi tempi e modi – dicono sotto anonimato funzionari dei servizi segreti al giornale americano – ma era chiaro che il leader della Wagner stesse per rendere ancor più plateale il braccio di ferro avviato da mesi contro il Ministro della Difesa Shoigu e il capo dello stato maggiore Gerasimov. Quello che due giorni fa, in uno dei numerosi video pubblicati sui canali Telegram legati al gruppo, Prigozhin aveva definito come «l’inizio della guerra civile» è diventato in meno di 24 ore il segno della fragilità della tenuta del potere di Putin e un punto interrogativo sulle sorti del gruppo che si è titolato l’unica vittoria insieme significativa e simbolica degli ultimi mesi di guerra, la battaglia di Bakhmut.
Nelle settimane di aspre battaglie, costate centinaia di vittime a russi e ucraini, Prighozin aveva reso la piccola città del Donbass, un tempo abitata da 70 mila persone e oggi ridotta a macerie disabitate, la parte per il tutto della sua scalata opposizione ai vertici militari. Voleva dimostrare di saper mietere conquiste, lente certo ma costanti, nell’unico fronte dove l’esercito di Kyiv non stava recuperando terreno. Dopo la straordinaria controffensiva del settembre scorso, per Prigozhin prendere Bakhmut, significava dire che i suoi uomini galeotti, mercenari, riuscivano dove l’esercito regolare stava fallendo. E riuscendoci avrebbe potuto alzare la posta in gioco di una guerra di potere che si muove intorno alla tenuta del capo. Prigozhin ha sostenuto di aver perso 20 mila uomini nei mesi di battaglia per Bakhmut, numeri altissimi, impossibili da verificare, ma che gli analisti militari ritengono verosimili. Era diventata una battaglia non più territoriale ma il terreno su cui giocare pesi e contrappesi, possibili alleati e detrattori di una lotta di potere interna alla Federazione Russa. Bakhmut era, cioè, la prova generale del futuro della guerra.
Le tappe
Nei mesi della battaglia di Bakhmut, Prigozhin ha più volte lanciato anatemi contro i vertici della Difesa, lamentano che non inviassero gli equipaggiamenti e le munizioni necessarie e per questo aveva minacciato di ritirare del tutto i suoi uomini dal campo di battaglia, talvolta diffondendo video in cui mostrava i corpi dei mercenari morti, accatastati a terra alle sue spalle.
Il dieci giugno scorso il presidente Putin ha chiesto alle forze autonome come la milizia Wagner – una ventina in Russia – di firmare un contratto che dal primo luglio le avrebbe poste di fatto sotto il controllo del Ministero della Difesa. La versione ufficiale era garantire ai mercenari gli stessi diritti e gli stessi benefici dei soldati regolari, assistenza pensionistica e sanitaria, ma era evidente che l’effetto sarebbe stato quello di commissariare le unità che sfuggivano al controllo di Shoigu e Gerasimov. Condizione inaccettabile per Prighozin che dei due era nemico giurato e che li aveva descritti come «nonni incapaci di ottenere vittorie in battaglia e padri di figli corrotti e inabili al fronte»: «Nessun combattente della Wagner è percorrerà di nuovo la via della vergogna. Perciò nessuno firmerà accordi» aveva detto, rispondendo agli ordini dei vertici militari. L’ipotesi che la sua milizia diventasse vassalla dei suoi avversari era inaccettabile, Prigozhin ha capito che stava per essere messo all’angolo. E un uomo sanguinario e ambizioso che sta per essere isolato, cioè che sa che può perdere tutto da un momento all’altro, diventa un uomo ancora più pericoloso. È lì che, probabilmente, ha cominciato a pianificare la sua azione militare, ambendo e sperando di ottenere la testa di Shoigu, e coincide che l’acquisizione delle informazioni da parte dell’intelligence americana.
Gli scenari africani
Prigozhin è una creatura di Putin. Gli è stato permesso di reclutare galeotti, è stato l’uomo dei giochi sporchi, dalle interferenze nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 con la sua cosiddetta struttura di troll alle guerre per procura combattute in Siria e in Africa. La Wagner faceva il lavoro sporco, Putin se ne lavava le mani perché ufficialmente non erano membri delle forze di sicurezza ufficiali. Oggi che Prigozhin ha negoziato attraverso la mediazione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko e si avvia sulla strada dell’esilio resta l’istantanea della debolezza del capo e le domande aperte proprio sugli scenari internazionali in cui la Wagner ha preso piede per conto di Putin.
Dal 2017 il gruppo – anzi, la vasta rete di imprese e gruppi mercenari che lo compone – agisce in diversi paesi africani, Repubblica Centraficana, Mali, Mozambico, Sudan, Libia. Si stima a cinquemila il numero degli uomini di Prigozhin che operano nel continente africano. Con una mano offrono supporto militare, di sicurezza e di propaganda, con l’altra espande l’influenza di Mosca, promuovono gli interessi di politiche estera in Africa, facendo il lavoro sporco. Come macchiarsi di torture, esecuzioni extragiudiziali, è il caso dell’offensiva in Libia del 2019, dove le truppe Wagner a supporto del generale Haftar si sono macchiati di crimini di guerra di cui il Cremlino può non rispondere perché ufficialmente le truppe non dipendono dal ministero della Difesa.
In cambio dei servizi offerti, hanno ottenuto in questi anni finanziamenti e concessione di risorse, tra cui miniere d’oro e diamanti, terre rare, uranio, litio, che hanno reso gli almeno tredici paesi in cui operano, il bancomat delle azioni militari del gruppo. Se è probabile che il gruppo Wagner venga smantellato in Russia, rimane da capire cosa sarà e come verrà gestita l’influenza che la milizia ha maturato in Africa. Putin ha tutto l’interessa a mantenere il controllo delle risorse guadagnate e mantenere salda l’influenza sui regimi e i governi che gli uomini di Prigozhin hanno sostenuto, resta da capire, però, a chi dovranno rispondere questi uomini e se lo faranno.
La vulnerabilità di Putin, a 48 ore dall’entrata di Prigozhin a Rostov, è rappresentata da un uomo che è stato una sua emanazione, una sua creazione, il braccio armato del lavoro sporco in Russia e negli scenari internazionali in cui il presidente russo aveva ambizioni economiche e geopolitiche e su cui ha dimostrato di non avere controllo. L’immagine della colonna di mezzi che muove verso Mosca, percorrendo centinaia di chilometri incontrastata, resta una macchia nella tenuta del potere del capo. Quanto questa macchia si allargherà, e a quale prezzo interno e esterno sia sul fronte ucraino che su quello internazionale saranno le prossime settimane a rivelarlo e potrebbe essere di non facile gestione per lo zar sempre più debole. —