la Repubblica, 26 giugno 2023
Nei cestini dei riders ci sono 200 batteri
ROMA – Ci manca solo la pulizia, al termine della giornata. Per un rider che consegna il cibo a domicilio è già abbastanza duro arrivare a fine turno. Disinfettare il box con i muscoli ormai a pezzi a molti sembra troppo, anche quando lì dentro si sono alternati pizze e sushi, hamburger e ravioli. IlGambero Rosso, la principale rivista di enogastronomia, ha allora chiesto al laboratorio SiLa di Roma di analizzare uno dei contenitori cubici usati dai rider per le loro consegne. Dagli apparecchi dell’istituto specializzato in igiene e alimenti è uscito un risultato che fa accapponare la pelle.
«Chi mangerebbe del cibo sapendo che è stato trasportato in un cubo che ospita più di 200 colonie di batteri?» si chiede la rivista nel suo servizio di copertina intitolato “Batteri a domicilio” in uscita martedì 27 giugno. «C’è un clamoroso buco nella filiera del delivery» spiega l’inchiesta del Gambero Rosso. «Riguarda la sicurezza alimentare, l’igiene dei contenitori dove viene riposto il cibo durante il trasporto. Le norme ci sono e anche stringenti, purtroppo però le aziende di fatto non le rispettano. Come dimostrano le analisi che pubblichiamo».
Le 200 colonie di batteri sono state identificate sul fondo e sulle pareti del box di Glovo, una delle principali aziende di consegna di cibo a domicilio. «Eppure alla vista e all’olfatto il contenitore sembrava pulito» spiega il giornalista Maurizio Gaddi. La legge, aggiunge, stabilisce che tutti gli operatori – rider inclusi – seguano un corso di formazione su igiene e sicurezza degli alimenti. Ma in assenza di controlli, conclude Gaddi, «le aziende che operano nel food delivery sono deboli nella formazione del personale, come invece sarebbe prescritto dalle norme nazionali ed europee». L’inchiesta, per quanto riguarda Glovo, parla di un corso a base di video e slide e di una lezione collettiva di un’ora. Il contratto dei rider con l’azienda raccomanda di «mantenere i contenitori puliti» e dedicarsi «alla pulizia quotidiana del sacchetto con sapone e disinfettante». Ma poi, con i loro budget ridotti all’osso, i rider si concentrano su altri problemi. Anche perché la spesa per i detersivi è a carico dei ragazzi sulle due ruote.
Nel 2019 l’idea di mettere il naso nei contenitori dei rider venne anche alla Procura di Torino. La sera di domenica 16 febbraio 2020, proprio alla vigilia della pandemia, gli ispettori della Asl su richiesta del pm Vincenzo Pacileo, specializzato in reati alimentari, ispezionarono una quarantina di rider. Furono trovate alcune confezioni di cibo ben sigillate, ma altre erano aperte: a rischio dunque di contaminazione sia da partedi virus e batteri che di allergeni, molto pericolosi per chi ha forme gravi di allergia. Nel 2021 l’università di Torino è tornata a occuparsi del tema con un articolo sulla sua rivista Prevenzione in corso scritto da Alice Rastello e Maria Ausilia Grassi. Anche per questa ricerca la Asl ha fermato e ispezionato una ventina di rider nel centro di Torino.
I punti critici: «Imballaggio mal eseguito, contaminazione degli alimenti all’interno del box termico, trasporto degli alimenti a una temperatura non conforme o in condizioni igienico-sanitarie insufficienti». I ragazzi delle consegne hanno ammesso di dedicarsi alla pulizia del box in media una volta alla settimana e di aver ricevuto corsi sommari da parte delle aziende (spesso con video o slide inviati per posta). Molti, in ogni caso, avevano difficoltà di comprensione della lingua.
A fare il paio con le carenze deitrasportatori, hanno trovato i ricercatori di Torino, c’era l’ignoranza delle regole da parte dei ristoratori. La colpa di confezioni non sigillate o di cibi caldi e freddi imballati insieme non è sempre dei rider. E il problema, per quanto riguarda la temperatura, diventa serio perché causa la proliferazione dei batteri. «Gli alimenti da consumarsi caldi devono essere trasportati da 60° a 65° – spiega l’inchiesta del Gambero Rosso – mentre quelli da consumarsi freddi non devono superare i 10°». In una scatola ispezionata dai ricercatori torinesi c’erano hamburger e acqua (ex) refrigerata insieme, con la carne scesa a 46 gradi. In un’altra sushi e ravioli (ex) caldi, entrambi consegnati a 20 gradi.