la Repubblica, 26 giugno 2023
Ustica, missile o bomba?
Nel cielo italiano la sera del 27 giugno 1980 era in corso uno scenario di guerra. Aerei militari si incrociavano sul mar Tirreno decollando dalla base francese di Solenzara, una struttura dell’Armée de l’air situata in Corsica nel comune di Ventiseri vicina alla costa tirrenica dell’isola, e pure da una portaerei. Ufficialmente non c’era alcuna esercitazione, ma il traffico è stato impresso dai radar e trascritto nei plot che fortunatamente gli inquirenti in questi anni sono riusciti a recuperare e analizzare. Ci sono le tracce dei caccia, ci sono le rotte, ma non si riesce ad avere ufficialmente la paternità di questo traffico sul cielo di Ustica che ha portato ad abbattere il Dc9 di linea Itavia che da Bologna stava raggiungendo Palermo, provocando 81 vittime. A riscontrare questo scenario sono arrivate alcuni anni fa le dichiarazioni dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il quale – anche se con notevole ritardo rispetto ai fatti – ha detto davanti ai giudici del tribunale civile di Palermo che a tirare giù il volo con i passeggeri erano stati i francesi. Svelò cosa seppe nell’imminenza della strage in qualità di presidente del Consiglio. Nel 2010 aggiunse che il missile colpì l’aereo italiano per sbaglio e il vero bersaglio era un Mig su cui volava Gheddafi. I legali che rappresentano i familiari delle vittime e che seguono i procedimenti civili e penali, gli avvocati Daniele Osnato e Alessandro Gamberini, non si rassegnano alla verità ancora negata.
Le perizie hanno stabilito che l’aereo dell’Itavia è stato abbattuto dall’onda d’urto di un missile che è esploso a poca distanza dalla fusoliera. I periti hanno escluso la bomba a bordo. «Il giudice Priore scrive nella sua sentenza di cinquemila pagine che il Dc9 è stato abbattuto nel corso di una guerra aerea scoppiata attorno al Dc9. Lo scrive in base ad una serie di elementi» dice l’avvocato Gamberini. «Nessuna bomba a bordo» aggiunge il difensore, «analizzando la frattura dell’aereo, l’unico posto in cui poteva essere ipoteticamente sistemata la bomba era nella toilette posteriore vicino al motore destro. Grandi scienziati che hanno lavorato su questa perizia e sui resti di quella toilette hanno affermato che non vi era stata alcuna esplosione dall’interno verso l’esterno. Nessuna traccia di un ordigno interno. Basta pensare che l’asse dal water è stato trovato intatto in fondo al mare. Chi dice il contrario racconta solo panzane», conclude Gamberini.
Con le dichiarazioni di Cossiga è stata avviata l’inchiesta bis dalla procura di Roma, ancora aperta ma verso una richiesta di archiviazione. I magistrati hanno ottenuto dall’Aise, l’intelligence italiana che ha preso il posto del Sismi, il servizio segreto militare, copia di 32 documenti su cui era stato posto all’origine il segreto di Stato, da poco tempo rimosso. Si tratta di atti prodotti tra il 1979 e il 1982, che fanno parte di un più ampio archivio di documenti che riguardano i rapporti fra il Sismi e L’Olp, l’organizzazione per la liberazione della Palestina. Dopo 30 anni, alla cessazione del vincolo, nel 2014 l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, su proposta dell’Aise li ha declassificati e nel settembre del 2020 la procura della Repubblica di Roma ha chiesto ed ottenuto l’esibizione dei documenti. Negli atti, analizzati dai magistrati, che sono in gran parte le relazioni scritte dalcolonnello Stefano Giovannone, nome in codice “Maestro”, capo del Sismi a Beirut dal 1972 al 1981, non si fa cenno alla strage di Ustica. I documenti, che venivano inviati periodicamente al capo del Governo o ad alcuni ministri, ci dicono, invece, che i palestinesi con l’abbattimento del Dc9 non hanno nulla a che fare. In un cablo del 18 aprile 1980, inviato con priorità “urgente” a Roma e che aveva come oggetto “minacce Fplp”, a proposito di attentati palestinesi nei confronti dell’Italia, si legge: «Nessuna azione sarà comunque effettuata da Fplp confronti ambasciata Beirut, capo missione e personale tutto, nonché collettività ed interessi italiani in Libano, per rispetto e riconoscimento di quanto da noi fatto in Beirut nel reciproco interesse». Il 24 aprile 1980 in una nuova nota al direttore del Sismi: «L’interlocutore con il quale ho parlato ha aggiunto che la dirigenza del Fplp ha ultimamente deciso che “nessuna azione sarà comunque effettuata dal “Fronte”» sottolineando «né prima né dopo il 15 maggio». A due anni dalla strage il Sismi il 19 agosto 1982 torna sui rapporti con l’Olp e parlando di «attività palestinese in Italia» dicono: «L’ultimo attentato risale al 17 dicembre 1973 (strage di Fiumicino). Dopo quella data è stato condotto un altro atto violento ad opera di palestinesi (occupazione dell’Ambasciata siriana a Roma nel 1976), ma si è trattato del gruppo di Abu Nidal».
Dipanati i tentativi di depistaggio, i fatti documentati e riscontrati puntano sui caccia francesi, sulla responsabilità d’Oltralpe. I pm hanno interrogato alcuni avieri francesi, ed hanno avuto conferma che in quella base in Corsica la notte del 27 giugno c’era un forte traffico aereo. «L’inchiesta bis ha il compito di tirare le fila di una serie di elementi che dovrebbero dare un riscontro ulteriore della presenza della portaerei francese. Questo è quello che mi aspetto tirando le fila dell’ultima indagine, mi aspetto che si possa finalmente arrivare a dire chi c’era nel Tirreno e in volo», dice l’avvocato Gamberini, aggiungendo: «Pur comprendendo la complessità e la difficoltà del tirare le fila di questa inchiesta, e avendo l’esigenza che le fila vengano tirate non con un provvedimento sommario ma con uno completo, attendiamo di leggere questa richiesta di archiviazione in cui speriamo si possa dare qualche elemento in più rispetto a quello che già conosciamo».
Forse da Parigi è tempo che dicano qualcosa.
«Da 43 anni viviamo la condizione del “pasto nudo”, perché ci fanno annusare qualcosa ma poi non mettiamo nulla in bocca, ed è una forma di tortura e di frustrazione per il mancato raggiungimento della verità» spiega l’avvocato Osnato. «Abbiamo solo una data, 27 giugno, in cui si celebra una mancata giustizia», aggiunge: «Lavoriamo su due milioni di atti, ma si tratta solo degli scarti. Sono documenti che non servono, perché al loro interno mancano le pagine che servono per raggiungere la verità dei fatti, e questo è il mio ruolo. Non voglio celebrare una mancanza di verità e non voglio un museo della memoria ma un museo della verità. Oggi l’unica certezza che abbiamo è la negazione della verità. E nel frattempo i miei assistiti continuano a chiedere perché i loro figli o i loro familiari sono morti. Da chi sono stati uccisi?».