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 2023  giugno 26 Lunedì calendario

Washington e Mosca sapevano

 
Le antenne dell’intelligence Usa sapevano dell’imminente rivolta di Prigozhin e hanno avvisato i vertici. Ma anche Vladimir Putin si aspettava un colpo e non lo ha scoperto certo quando i mercenari sono entrati a Rostov.
È questo il senso delle indiscrezioni uscite dal mondo delle ombre, diffuse da New York Times e Washington Post grazie alle loro buone fonti, notizie rivolte ad una platea globale.
L’agitazione della Wagner, le sue provocazioni, sono state monitorate con attenzione e lo spionaggio americano ha fissato il 10 giugno come il giorno di rottura, quando Mosca ha imposto alla compagnia un atto di sottomissione alla Difesa. La frattura era nota, c’erano dichiarazioni, liti sulle munizioni, accuse inasprite dalle perdite subite dai miliziani a Bakhmut. Prigozhin si è messo in moto, ha preparato un gesto clamoroso, ha istruito gli ufficiali di fiducia e questo probabilmente ha aperto fessure nella riservatezza.
Gli americani hanno seguito le mosse, cercando di separare la teatralità di alcune iniziative dello «chef» dai passi concreti. Tanti gli annunci, le sparate, i diktat rimangiati. Per gli analisti, il Cremlino ha usato il leader dei mercenari per giochi di potere, però il gerarca ambizioso ha costruito la sua «base»: un errore considerarlo un semplice burattino.
Il flusso di «indizi» ha fatto crescere l’allarme a Washington, lo spionaggio ha informato con una serie di briefing un gruppo ristretto del governo e alcuni congressisti. Scelta diversa rispetto a quanto avvenne alla vigilia dell’invasione quando gli Stati Uniti avvertirono la comunità internazionale sul pericolo imminente. La riservatezza – hanno spiegato – è stata dettata dal timore che il neo zar avrebbe usato la situazione accusando gli Usa di essere dietro l’insurrezione. Inoltre il regime era consapevole della minaccia, aveva raccolto in anticipo nuovi segnali.
Le ipotesi
Gli apparati americani non escludono l’appoggio ai ribelli di parte delle forze armate
Non è al momento chiaro perché non abbia agito tempestivamente bloccando sul tempo gli insorti. Ha sorpreso la facilità con cui si sono impadroniti del comando a Rostov, centro nevralgico. Si ipotizzano contrasti interni e problemi negli apparati di sicurezza, carenze viste in molte occasioni. Dalle incursioni dei partigiani a Belgorod ai raid di droni sulla capitale. Il ritardo nella risposta, ovviamente, ha lasciato spazio a chi crede a un’operazione architettata dai servizi di Putin, sempre invocata in occasione di eventi drammatici a Mosca.
Gli apparati americani, come avviene in questi casi, considerano ogni scenario e non escludono l’appoggio ai ribelli di alcuni settori delle forze armate. Magari non coinvolti e neppure complici ma disposti a lasciar fare in attesa di capire «la piega». Un classico. Ancora più interessante ciò che scrive David Ignatius: la Casa Bianca ha chiesto a Kiev di evitare passi che potessero aggravare la crisi e di non sfruttare il momento per azioni azzardate. Indicazione in apparenza rispettata, un consiglio innescato dalla paura dell’arsenale nucleare della Russia in mani sbagliate.
Le ricostruzioni non chiariscono tutto quello che è avvenuto in 48 ore drammatiche. Disponiamo di versioni ma non sappiamo quanto siano certe.
C’è sempre il problema di esaminare le dinamiche dei regimi: hanno loro caratteristiche, meccanismi, segreti e regole di sopravvivenza difficili da comprendere fino in fondo. Gli esperti, bravissimi, si basano sulla Storia, sui precedenti, sull’analisi, restano però angoli oscuri e aspetti personali che solo chi è davvero addentro al cerchio magico può svelare.