Domenicale, 25 giugno 2023
Biografia di Sarah Bernhardt
SI ACCENDaNO ancora LE LUCI SU diva SarahParigi/1. Al Petit Palais una mostra-evento celebra la poliedrica artista: fu genio del marketing, influencer della moda, scrittrice, attrice, regista e impresaria teatrale, scenografa e costumistaMarina MojanaFemme fatale. Georges Clarin, «Ritratto di Sarah Bernhardt» (particolare), 1876, dono di Maurice Bernhardt, 1923 «Ci sono cinque tipi di attrici: cattive, passabili, buone, fantastiche… e poi c’è Sarah Bernhardt», diceva Mark Twain, che la conobbe nel 1880, in occasione del primo tour americano della star francese.
A New York gli uomini gettavano i loro cappotti sulla strada perché venissero calpestati dalla divina, che passava ore ed ore ad autografare i polsini delle loro camicie. «Era il mito mondiale del teatro fin de siècle – spiega lo storico Pierre-André Hélène – non importava se il pubblico all’estero non capiva il francese, la sua presenza vinceva su tutto e le sue scene tragiche erano le più attese. La gente veniva per vederla morire».
A cento anni dalla sua scomparsa, la poliedrica artista fa ancora parlare di sé grazie alla mostra-omaggio in corso fino al 27 agosto al Petit Palais di Parigi: Sarah Bernhardt, et la femme créa la star.
Più che visitare una mostra, in realtà, sembra di varcare la soglia di un museo, quello che Parigi non le hai mai dedicato. Frutto di cinque anni di lavoro, l’evento spettacolo, realizzato con grande impiego di mezzi da Annick Lemoine, direttrice del Petit Palais, con la curatela di Stéphanie Cantarutti e di Cécilie Champy-Vinas, presenta 400 opere da un elenco di 650. Documenti, cimeli, fotografie, disegni, lettere, dipinti, ritratti e autoritratti, sculture, abiti di scena, gioielli, provenienti da musei e collezioni private – in tutto quasi un centinaio di prestatori – ricreano la vita pubblica e privata di questo «mostro sacro», come la ribattezzò Jean Cocteau, melodrammatica e autopromozionale.
«Per immaginarcela bisogna pensare a un mix tra Madonna, Lady Gaga, Rihanna, Beyoncé e Michael Jackson – ha dichiarato Lemoine – e senza l’aiuto di Internet». Sarah Bernhardt seppe incarnare lo spirito del suo tempo attraversando l’effervescenza della Belle Époque e il languore del Liberty. Era nata a Parigi nel 1844 e vi morì nel 1923, un anno prima che fosse pubblicato il manifesto del Surrealismo, di cui aveva anticipato la fusione tra arte e vita e una moralità eccentrica e trasgressiva; della sua bisessualità non fece mai mistero.
Promossa come evento imperdibile, la rassegna propone un percorso tra pareti colorate che contraddistinguono differenti sezioni: azzurra per i numerosi dipinti che la ritraggono come femme fatale, tra cui il capolavoro di Georges Clarin, suo amico e amante per la vita; grigia per i manifesti, le locandine, le caricature e le opere su carta; gialla per una sequenza avvincente di fotografie in bianco e nero che documentano 50 anni di carriera; rosso pompeiano per ricreare un angolo del suo atelier. Questa sala, in particolare, ospita un’importante selezione di sculture realizzate dall’artista quando aveva poco più di trent’anni ed era già un’attrice di successo. Abile sia nel fondere il bronzo (Le Fou et la Mort, 1877) che nel modellare ritratti in terracotta (Busto di Emile de Girardin, 1878, Autoritratto come La fille de Roland, 1876), la Bernhard eccelleva nello scolpire il marmo. In mostra si scoprono i volti a tutto tondo delle persone a lei più care, dalla pittrice Louise Abbèma (1878), sua giovane amante, all’attore Jacques Damala (1889) morto quarantenne per una overdose di morfina. La grande attrice tragica – che era diventata sua moglie nel 1882 – lo descrive nel sonno eterno: il lenzuolo è un sudario avvolgente, mentre i fiori recisi appassiscono sul capezzale. Soltanto il grande marmo Après la tempête del 1876 circa – una sorta di “Pietà bretone” – è rimasto al National Museum of Women in the Arts di Washington e viene qui evocato da una gigantografia. Con quest’opera, presentata al Salon di Parigi nel 1876, Bernhardt aveva vinto la medaglia d’argento, entrando a testa alta nell’ambiente artistico parigino dominato all’epoca da Jean-Baptiste Carpeaux, Jules Dalou e Auguste Rodin.
La mostra evoca anche, attraverso i costumi che l’attrice indossò sul palcoscenico, i personaggi a lei più congeniali: Marguérite Gautier – la cortigiana redenta in La Dame aux camélias – l’attrice Adrienne Lecouvreur, Ifigenia, Salomé, Ofelia. La sua “voce d’oro” (emoziona ascoltarla in Fedra, in un brano registrato su un cilindro sonoro a New York da Thomas Edison) teneva il pubblico ancorato alle sedie e seduceva gli intellettuali del tempo, che la veneravano, da Gustave Doré a Victor Hugo.
Fu un genio del marketing ante litteram, influencer della moda, costantemente alla ricerca di inedite tendenze, scrittrice, regista e impresaria teatrale, scenografa, costumista; dal 1900 alla morte sperimentò anche il cinema muto.
La sua comunanza di gusti con il giovane Alfons Mucha creò lo “stile Sarah Bernhardt” che si rifletteva negli abiti di scena e nei poster disegnati per lei, così come nei gioielli floreali realizzati da un emergente René Lalique. Nel 1905, durante una tournée in Sud America, si era ferita al ginocchio destro saltando dal parapetto nell’ultima scena de La Tosca. Nel 1915 era iniziata la cancrena e la gamba dovette essere amputata. imperterrita e patriottica, durante la Prima guerra mondiale insistette per visitare i soldati sul fronte occidentale, che raggiungeva su una lettiga, sollevando il morale delle truppe.
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Sarah Bernhardt,
et la femme créa la star
Parigi, Petit Palais – Musée des Beaux-Arts de la ville de Paris
Fino al 27 agosto
Catalogo Éditions Paris
Musées, pagg. 256
e 250 illustrazioni, € 39