Avvenire, 25 giugno 2023
Biografia di Thomas Pynchon
Giovedì 18 aprile 1974 ha luogo la cerimonia di premiazione del National Book Award al Lincoln Center di New York. Per quell’anno la giuria ha deciso di votare un ex aequo nella sezione narrativa: risultano vincitori i racconti contenuti in Una corona di piume di Isaac Bashevis Singer e L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon. Chiamato a intervenire, Pynchon è non Pynchon, ma l’attore Irwin Corey, assoldato dall’editore Viking Press perché faccia le veci dello scrittore all’epoca già irreperibile. Corey riceve placidamente il premio a nome di un tal «Richard Python» e si avventura in uno discorso strampalato interrotto da un nudista che irrompe sul palco. Questa scena bislacca – che potrebbe benissimo figurare in un romanzo pynchonesque – non si ripete al Pulitzer dello stesso anno: L’arcobaleno della gravità è formalmente scelto dai giurati, ma l’Advisory board blocca l’assegnazione perché il romanzo è «illeggibile» e ci sono centinaia di pagine «turgide, sovrascritte e oscene». Edito cinquant’anni fa (il 28 febbraio 1973), L’arcobaleno della gravità è l’opus magnum di Pynchon che all’epoca ha solo trentasei anni e ha già pubblicato altri due capolavori, V. (1963) – l’esordio più folgorante della letteratura mondiale – e L’incanto del Lotto 49 (1966).
Scrive la sua terza opera in California, dentro un bilocale da studenti ai margini estremi della periferia di Los Angeles, su una carta millimetrata per disegni tecnici. Qual è la trama del libro? Lasciate ogni speranza, o voi che provate a riassumere. Ambientato in Europa alla fine della Seconda guerra mondiale, dedicato alla progettazione dei mefitici razzi V2, «fantomatica arma nazista» (così nella quarta di copertina dell’edizione Rizzoli, a cura di Giuseppe Natale) che sembra imperscrutabilmente legata alle avventure amorose dell’ufficiale americano Tyrone Slothrop, l’Arcobaleno è la ricerca di un misterioso Graal tutto profano: lo Schwarzgerät (il “dispositivo nero”) installato in un razzo con il numero di serie 00000. Fisica estrema, metafisica, tarocchi, cabala, canzonette pop, trivialità varie, storia controfattuale, tour de force linguistici, complottismi, notazioni enciclopediche, psicologia pavloviana: il romanzo è la sua alchemica struttura – peraltro scandita dal calendario liturgico cattolico –, la proliferazione di centinaia di personaggi folleggianti, è la summa del cosiddetto realismo isterico e della frammentazione del sapere postmodernista, un universo di infinite possibilità. «Un grido s’avvicina, attraversando il cielo. È già successo prima, però niente di paragonabile a ora. Ormai è troppo tardi. L’Evacuazione prosegue, ma è tutta scena». Classe ’37, più imprendibile dei suoi personaggi, Pynchon vive all’Upper West Side di New York protetto dal suo anonimato.
Di lui possediamo una manciata di fotografie e la maggior parte risalenti agli anni del college.
Ha prestato la sua voce in due puntate dei Simpson. È apparso (forse) in Vizio di forma (un cameo) di Paul Thomas Anderson. Ha recentemente venduto il suo archivio alla Huntington Library di San Marino, California. I suoi documenti letterari sono in ordine per il radioso futuro degli studi, a canonizzazione già avvenuta. Ma qual è la sua eredità? Davvero è da trovare in quel monstrum che è l’Arcobaleno e in altri testi massicci, pensati per una cerchia ristrettissima di happy few? Einaudi ha da poco ristampato L’incanto del Lotto 49 negli «ET Scrittori» (pagine 160, euro 11,50) con la storica e felice traduzione di Massimo Bocchiola. È il romanzo più breve di Pynchon, forse quello più leggibile. L’indimenticabile protagonista Oedipa Maas, spericolata casalinga dell’immaginaria San Narciso (ancora in California), moglie di un deejay radiofonico, è nominata esecutrice testamentaria dell’immenso patrimonio di un suo ex fidanzato, Pierce Inverarity. Si imbatte pian piano in un complotto ai danni delle poste statali americane di proporzioni globali e plurisecolari: il servizio postale alternativo W.A.S.T.E. che, vero o presunto, affonda le radici nell’Europa del Cinquecento e nel silente regno di Tristero. Suggestione psicotica o terribile realtà? «Comunque sia, loro la chiameranno paranoia». Attesa di tutte le attese, ansia di una rivelazione religiosa, la vicenda di Oedipa è per noi oggi non soltanto un’insuperata prova stilistica, ma ancor di più la lente con cui leggere l’ascesa di Internet, le catene controculturali dei social, le torbide macchinazioni e il senso assai diffuso di outsiderism. Nelle pagine finali del libro – tra le più alte della letteratura moderna – camminiamo con Oedipa e con i suoi dubbi nei bassifondi di San Narciso, tra gli ultimi d’America, nei binari «altri, intreccianti, approfondenti, asseveranti la grande notte che la circondava».