La Stampa, 25 giugno 2023
Terre rare, l’oro del futuro
Secondo uno studio realizzato da The European House – Ambrosetti ben il 38% del nostro Pil è legato alla disponibilità di materie prime critiche: in pratica in ballo ci sono ben 686 miliardi di euro di fatturato della nostra industria, il 22% in più rispetto all’anno prima. Questo perché oggi rame, litio, cobalto, e un’altra trentina di minerali considerati essenziali per lo sviluppo di settori strategici per la nostra economia sono spesso di difficile reperimento. Già oggi l’Italia è al primo posto tra i paesi dipendenti da importazioni extra-Ue per questo tipo di approvvigionamenti e stando alle ultime stime si prevede che di qui al 2040 il nostro fabbisogno aumenti di ben 11 volte per far fronte allo sviluppo delle energie rinnovabili (fotovoltaico ed eolico), alla produzione di batterie per il settore della mobilità elettrica, per produrre i chip destinati a data storage, server e prodotti di elettronica, e poi ancora droni e satelliti. Non a caso questo è definito “l’oro del futuro”.
Si tratta di una vera propria emergenza non solo per l’industria nazionale ma anche per quella europea, come dimostrano i ripetuti blocchi ad esempio nella produzione di auto che si sono registrati nei mesi passati in tutto il vecchio continente e le crisi che hanno contagiato altri settori a causa della carenza di microchip legati anche alle difficoltà di reperire di silicio.
L’Unione europea col “Critical Raw Materials act” varato a marzo ha fissato obiettivi molto sfidanti in questo campo per tutti i paesi, stabilendo che già entro il 2030 estrazione, raffinazione e riciclo debbano soddisfare rispettivamente il 10, 40 e 65% del fabbisogno di materie prime critiche. Oltre a questo si prevede che solo il 65% delle materie prime critiche consumate possa essere importato da un singolo paese.
Per questo si sta ragionando sulla possibilità di mettere in campo un nuovo fondo sovrano europeo per acquisire giacimenti fuori dalla Ue, come sta facendo già da tempo la Cina, leader assoluto a livello mondiale nel campo dell’estrazione e della raffinazione, ma anche sull’esigenza di sfruttare meglio le miniere o riattivare quelle finite in disuso magari calibrando meglio gli attuali vincoli sul fronte ambientale, oltre a ridurre e semplificare le procedure amministrative.
Di questo e altro parleranno domani a Berlino il ministro tedesco dell’Economia e della protezione climatica, Robert Habeck, il ministro francese dell’Economia, delle finanze e della sovranità industriale e digitale Bruno Le Maire e per l’Italia il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Un incontro importante, segnalano dal Mimit, che segna una svolta nell’elaborazione della politica industriale europea, con i tre paesi che per la prima volta siedono allo stesso tavolo su tematiche concrete e strategiche.
Le crisi (la pandemia del Covid, la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina) hanno reso ancor più evidente quanto Germania, Francia, Italia e l’intera Ue dipendano dai singoli paesi per l’estrazione e la lavorazione delle materie prime. Più dell’80% delle terre rare sono estratte in Cina e in Sud Africa, e la Russia ha una posizione dominante nell’estrazione di platino e palladio, con una quota di mercato di circa l’80%.
Un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime è fondamentale per le industrie dei tre paesi, in particolare per le tecnologie necessarie alla transizione ambientale e digitale. Lo scopo dell’incontro, che tra l’altro avviene una settimana prima del prossimo Consiglio europeo, sarà innanzitutto quello di identificare congiuntamente misure su come i tre paesi possono cooperare meglio per rafforzare un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime (soprattutto quelle critiche) per l’industria europea.
A oggi sono 34 le materie prime critiche classificate dalla Ue come necessarie per affrontare la transizione energetica. Si tratta di componenti necessari ad esempio per produrre le turbine eoliche, i pannelli fotovoltaici e le batterie delle auto elettriche. Stando al Mimit sulle 30 materie prime critiche individuate nell’ultima mappatura che risale al 2020 nove (antimonio, barite, berillio, cobalto, magnesio, grafite naturale, fosforo, tungsteno e bauxite) potrebbero essere ricavate dalle nostre miniere abbandonate, sia per un presunto esaurimento delle risorse, ma soprattutto per convenienza di importarle a basso costo dall’estero invece di investire nel rinnovamento di miniere obsoleto dal punto di vista ambientale e tecnologico.
A punta Corna in Piemonte si trovano giacimenti di cobalto e nickel, a Gorno in Lombardia c’è invece uno dei più importanti giacimenti europeo di zinco, piombo e argento, in Liguria (oggi in area protetta) c’è un grande giacimento di titanio, tanto rame sull’appennino tra Liguria ed Emilia, litio in tutta la fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e nella catena appenninica (da Alessandria sino a Pescara) e poi fluorite e bauxite in Sardegna e tantissimo zolfo in Sicilia. In tutto secondo l’Ispra sono oltre 3mila i siti dove si potrebbero estrarre materie prime critiche. Ma l’ultima Carta mineraria risale al 1973 e andrebbe ovviamente aggiornata.