la Repubblica, 25 giugno 2023
Largo Argentina con i turisti
Alle nove del mattino sul marciapiedi all’ombra si è formata già una piccola fila. L’Area Sacra di largo Argentina è ai primi giorni di apertura e la notizia ha fatto rapidamente il giro del mondo. Questa è la piazza in cui un omicidio politico cambiò la Storia del mondo: qui venne ucciso Giulio Cesare, dittatore di Roma. Le “Idi di marzo” del 44 avanti Cristo si consumarono alle spalle di quello che oggi è un muro bruno e possente, accanto ad un leccio. Niente di nuovo, se non fosse che soltanto ora è finalmente possibile vedere tutto questo da vicino. E quella che è una delle piazze centrali della Capitale d’Italia, diventa uno straordinario e unico museo all’aperto.
Un tuffo nell’antichità
I turisti aspettano l’apertura della biglietteria: 5 euro per gli stranieri, 4 per i romani, gratis per chi ha la tessera dei Musei, a Roma. Prendono il fresco guardando i reperti esposti sotto un portichetto, alla base di una torre medievale, raro caso di un edificio di quell’epoca, in linea generale fagocitata da chiese barocche e palazzi nobiliari. Intorno, il traffico, i tram, la fermata dei sempre sospirati taxi, i negozi che alzano le saracinesche. A pochi passi dalla Torre del Papito, scesa una decina di gradini ci si lascia alle spalle il tempo presente, ci si tuffa dentro Roma antica, per guardarla dritto negli occhi. Chiamarlo museo, o nuovo museo non è proprio corretto: questo pezzo di Roma è stato sempre qui, ed è qui da sempre, soggetto alle alterne fortune di certi posti periodicamente considerati minori.
Quel che cambia è la prospettiva: da sopra, aspettando di entrare a teatro (l’Argentina, teatro nazionale si trova in corrispondenza di uno dei quattro lati dell’area archeologica) capita di sedersi sul muretto di cinta, passeggiando, l’occhio è sempre attratto da quei resti bui, da quelle memorie. A pochi passi da via delle Botteghe Oscure, dalla piazza Paganica dove ha sede la Treccani. L’ultimo drastico repulisti prima del taglio del nastro ha richiesto settimane di lavoro. Da sopra, dalla città rombante, chi passava poteva lanciare qui sotto qualsiasi cosa, anche una decina di monopattini.
Storia e mecenati
Due anni di lavori, a cura della Sovrintendenza di Roma Capitale e questo sito archeologico ha preso un’altra forma, soprattutto ha cambiato e forse reso più moderno il proprio senso, rinforzato la propria volontà di comunicazione. Il mecenatismo ha fatto la sua parte e Bulgari, che aveva finanziato il restauro della scalinata di Trinità dei Monti, tirando a lucido i nostri iconici Spanish steps, ha poi riversato su quest’area la differenza della base d’asta dell’appalto: 486 mila euro a cui se ne sono aggiunti altri 500 mila. I soldi, prima di tutto, e insieme la volontà di fare. Un milione per rendere l’area percorribile per un centinaio di metri, su una passerella che la attraversa tutta, da un monumento all’altro, da un tempio all’altro.
«L’idea era di portare il più vicino possibile le persone allo strato antico, un complesso compendio di architettura di epoca Repubblicana», spiega il sovrintendente Claudio Parisi Presicce. L’esperienza dei Fori imperiali ce lo ha insegnato: questo tipo di intervento è possibile». Il camminamento è agevole, composto in doghe di legno e fiancheggiato da corrimano in acciaio, intervallato da pannelli in italiano e in inglese, chiari per tutti. Il sistema di passerelle è imponente ma leggero: poggia su piccole canalette interrate ed è completamente reversibile, non impatta in alcun modo sulla quota archeologica, nemmeno un buchetto è stato fatto in terra. I punti di appoggio sparsi nell’area sono ottanta; il camminamento è lungo circa 450 metri quadrati e largo un metro e mezzo.
Il luogo del delitto
Scesi una ventina di scalini, cinque metri sotto il piano stradale, percorso un pezzo della passerella, in fondo a sinistra si staglia il muro scuro che costituisce la parte esterna della curia di Pompeo, il luogo del delitto. I visitatori si fermano, puntano il cellulare, si fanno qualche selfie. È quel che resta dell’edificio pubblico nel quale la mattina delle “Idi di marzo”, alle 11, Giulio Cesare venne massacrato da 23 coltellate – la prima al cuore e l’ultima all’inguine, come in un sacrificio – da Cassio e Bruto, della cui madre era stato a lungo amante prima di incontrare Cleopatra (madre di suo figlio Cesarione), e malgrado l’amore e la vigile presenza della moglie Calpurnia. Un bagno di sangue perpetrato da un gruppo di senatori nel corso del quale il dittatore, raccontano le fonti, si coprì la testa con la toga per «morire con dignità» davanti ai congiurati.
Secoli dopo, Dante Alighieri collocherà Bruto e Cassio all’Inferno insieme con Giuda, fra i traditori eternamente sbranati da Lucifero. Quelle pietre innescano un vortice di suggestioni, una psichedelia di rimandi, la Storia dentro la Storia. Plutarco racconta che in una nicchia del colonnato della curia si trovasse la statua colossale di Pompeo, ora a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. E fu ai piedi di quel colosso in marmo del suo acerrimo nemico che Giulio Cesare cadde esanime. Proprio lì.
Le divinità femminili
Intorno svettano i pini. La famosa colonia dei gatti è sistemata in una zona separata, con cancelletto, cibo in ciotole colorate. I felini sfrecciano liberi fra i monumenti, prendono il fresco in punti che sanno solo loro, sono a casa. Nella grande area archeologica sono quattro i templi i cui resti resistono da secoli sotto il sole. Basamenti, scalinate, colonne di tufo e capitelli mescolati a resti di chiese medievali e latrine antiche, muretti di contenimento e ricostruzioni recenti: «Questo è anche un sito di storia del restauro», precisa Presicce indicando degli interventi di contenimento fra una zona e l’altra dell’area ascrivibili agli anni Cinquanta. Le guide, i pannelli, decenni di studio hanno infine chiarito che i quattro templi i cui resti si trovano ancora oggi nell’area erano intitolati a divinità femminili. Sono il tempio di Giuturna (A), costruito dopo il trionfo di Roma sui cartaginesi, quello della Fortuna (B) dalla struttura a pianta circolare fiancheggiata da “guance” di tufo. E poi Feronia (C), le Ninfe o i Lari Permarini (D), protettori della navigazione. Il motivo, suggerisce Parisi Presicce, potrebbe essere la vicinanza del Tevere, il fiume che esondando lasciava in terra la rena, da cui la via Arenula che arriva proprio all’incrocio dell’Area sacra. Qui, si veniva a pregare in nome della fertilità, dell’abbondanza.
I quattro templi sono tutti di età repubblicana: erano qui prima del Colosseo, dell’Arco di Costantino, della colonna Traiana. Un ampio basamento circondato da colonne è quello che l’archeologia di Antonio Muñoz ha battezzato tempio A: alluvioni, incendi, trasformazioni di epoche successive hanno fatto sì che anche qui, come spesso accade, venisse inglobato un edificio di culto cristiano, la chiesa di San Nicola dei Cesarini, testimoniata fin dal IX secolo di cui rimane l’abside maggiore in grandi blocchi mentre le figure affrescate conservate fino ad oggi sono trecentesche. Ed è il riuso a garantire la conservazione dei resti, la vita dei luoghi a perpetrarne l’esistenza. Come anche nel tempio B, intitolato alla Fortuna del giorno presente (Fortuna Huiusce Diei)le cui colonne tufacee, originariamente 18, disposte in semicerchio erano addirittura parte del refettorio di un monastero ne gli anni fra il 1276 e il 1278. I templi C e D, a sinistra nel percorso di visita sono una sovrapposizione di rimaneggiamenti e riusi e intitolazioni diverse. Il C era quasi certamente dedicato a Feronia, il cui culto era originario della Sabina, di recente conquista (290 a.C). Infine, per vedere una porzione dei resti del tempio D, dedicato alle Ninfe o ai protettori della navigazione ci si addentra in una sala sotto via Floridia: era più grande degli altri edifici di culto dell’area, fra gradoni di accesso e resti di intonaco dipinto.
L’orgoglio di Mussolini
La storia moderna dell’Area sacra di largo Argentina ha poco meno di cento anni. All’inaugurazione, il 21 aprile 1929, Benito Mussolini in persona, stivaloni e fez, si fa immortalare dai fotografi dell’Istituto Luce al centro delle maestranze. Le demolizioni, la costruzione dei nuovi edifici e gli scavi archeologici erano durati tre anni – tra il 1926 e il 1929 – e avevano portato alla luce una incredibile piazza lastricata sulla quale affiorarono i quattro templi. I ritrovamenti, in un’area che era praticamente al centro del Campo Marzio, furono formidabili e superarono di gran lunga le aspettative. Al punto che nel 1927 il Governatorato sospese la concessione della licenza di costruzione. La storia dei lavori è registrata nei giornali di scavo curati da Giuseppe Marchetti Longhi, incaricato degli scavi. La sistemazione dell’Area sacra, l’assetto non troppo dissimile a quello attuale furono voluti da Antonio Muñoz, soprintendente dell’epoca, che fece liberare gli edifici antichi dalle superfetazioni che ne oscuravano lo splendore. È grazie a quegli scavi, a quel pensiero, se quest’area è giunta fino a noi.
Come Parigi, forse anche di più
Per la visita sul cartello all’entrata si indicano 45 minuti ma la stima è per difetto. Lo scavo antico è integrato da una specie di mini-museo, fresco di allestimento lungo il limite orientale dell’area, al di sotto del piano stradale, là dove si sono tenuti in deposito per decenni i pezzi ora restaurati e ordinati per il pubblico. I pilastri rivestiti di stucco innalzati dall’imperatore Domiziano dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo sono incastonati nelle sostruzioni della strada e fungono da supporto a otto pannelli di progettazione moderna. Antefisse, frammenti di statue, frammenti architettonici, lastre votive, epigrafi, sarcofagi ma anche sculture di età medievale, lapidi della scomparsa chiesa di San Nicola dei Cesarini e materiali antichi riutilizzati in età moderna sono stati restaurati, riordinati, puliti e presentati ai visitatori. Il filo rosso che li unisce tutti è che si tratta di materiali scavati qui, e qui ora visibili. Non capita praticamente mai, con rare eccezioni come quella dell’area archeologica sotto il Parvis de Notre Dame a Parigi che, pezzo dopo pezzo, spiega a pochi passi dalla Senna le origini di Lutetia Parisiorum, colonia romana. Questo piccolo parco archeologico, con i suoi pini ormai centenari, è tutto da vedere, da scoprire. Per le visite serali è stata già predisposta una illuminazione leggera; un ascensore può accompagnare chi non ha voglia di fare le scale. Le telecamere di videosorveglianza, collegate a una centrale operativa, tengono d’occhioche dalle balaustre cinque metri sopra non voli giù nulla.