la Repubblica, 25 giugno 2023
I generali non sparano sulla Wagner
L’era di Putin potrebbe chiudersi nella stessa maniera in cui si è spento l’ultimo colpo di coda dell’apparato sovietico. Nell’agosto 1991, quando i carri armati occuparono Mosca e cercarono di soffocare il cammino dal comunismo alla democrazia, i paracadutisti dissero no all’ordine di sparare sulla folla. Un rifiuto che ha fatto fallire il golpe dell’Armata Rossa e segnato il trionfo di Boris Eltsin. Ieri è accaduto qualcosa di simile. Le forze aerotrasportate, le uniche in grado di affrontare sul campo i guerrieri della Wagner, non hanno obbedito né al ministro della Difesa Shoigu, né al comandante in capo Gerasimov. In base al piano d’emergenza “Fortezza” scattato venerdì notte, toccava a loro proteggere la capitale. Invece non si sono mosse dalle caserme. E lo stesso hanno fatto le altre unità scelte, incluse le divisioni corazzate della Guardia: non hanno voluto fermare la corsa dei mercenari. A quanto risulta, l’Esercito russo non ha esploso un solo proiettile contro i ribelli: nelle strade della metropoli hanno preso posizione soltanto i miliziani della Rosgvardia, la Guardia Nazionale che non avrebbe mai potuto ostacolare i veterani di Bakhmut. Come nel classico copione di ogni putsch, i generali hanno atteso prima di scegliere con chi schierarsi. E la loro deliberata inerzia ha aperto una breccia nelle mura del Cremlino, tale da sancire l’inizio del tramonto di Vladimir Putin.
Il presidente ieri mattina nel suo video messaggio ha evocato la «pugnalata alla schiena» della rivoluzione bolscevica del 1917, vista come un tradimento delle truppe impegnate nelle trincee contro la Germania. Un paragone che ha pochi punti di contatto con lo scenario odierno, a parte il conflitto in corso in Ucraina. Il fondatore della Wagner somiglia più a quei colonnelli delle milizie bianche che avevano fanti pronti a seguirli fino alla morte: figure come Roman von Ungern- Sternberg, detto il “Barone sanguinario”, che trasformò la cavalleria zarista nell’esercito privato per conquistare un regno personale in Estremo Oriente. Come lui, Prigozhin ha contato sulla fedeltà assoluta e sulla superiorità bellica dei suoi guerrieri. Ma il fondatore della Wagner non è un avventuriero: ha pianificato con cura le sue mosse fino a infliggere uno scacco matto a Putin. E più che le gesta di Lenin, ha studiato a fondo proprio quello cheè accaduto nell’estate del 1991.
In quei giorni incredibili, ministri e ufficiali devoti al comunismo decisero di stroncare la Perestrojka prima che l’Urss venisse cancellata. Arrestarono Gorbaciov e occuparono Mosca con i tank. Come Prigozhin, sapevano che il Cremlino era a conoscenza dei loro disegni e hanno giocato d’anticipo. Ma erano grigi funzionari di partito senza popolarità e avevano perso il contatto con la realtà del Paese: così fuori dal tempo da ignorare le regole moderne della propaganda. Davanti alla folla chiamata in piazza da Eltsin, hanno dato l’ordine di fare fuoco. D’accordo con il loro superiore Pavel Grachev, i due generali Viktor Karpukhin e Alexander Lebed disobbedirono e si unirono ai manifestanti: erano parà ed eroi della disastrosa campagna in Afghanistan, molto amati dai loro commilitoni. Sapevano che i soldati non avrebbero mai sparato sui loro vecchi fratelli d’armi.
Questa è stata anche la scommessa del boss della Wagner. Era convinto che gli ufficiali dell’Esercito non avrebbero puntato i cannoni contro i suoi mercenari, tutti ex militari e spesso amici personali, con legami di cameratismo rafforzati dai mesi di battaglie fianco a fianco nel Donbass. La narrativa di Prigozhin da tempo fa leva sul malessere nelle forze armate, mandate al massacro in Ucraina: lo ha ripetuto pure nel dialogo con i due generali diffuso ieri mattina sui canali Telegram che per tutto il giorno hanno sostenuto la sua impresa, parlando di oligarchi in fuga con i loro aerei privati e di ministri corrotti. Un azzardo ben calcolato, sorretto da lunghi contatti sotterranei, che gli ha permesso di impossessarsi dell’intera Rostov e del comando delle forze russe sul fronte ucraino, per poi proseguire praticamente indisturbato la cavalcata verso Mosca.
Solo gli elicotteri e gli aerei dell’Aviazione sono intervenuti, lanciando missili contro i camion sull’autostrada e subendo perdite significative. L’unica vera preoccupazione per la Wagner sono stati i ceceni della brigata Akhmat: gli spietati pretoriani di Kadyrov sono i soli in grado di tenere testa ai suoi mercenari. Forse non è un caso che Prigozhin abbia proclamato la ritirata proprio quando le avanguardie cecene sono arrivate a Rostov, ingaggiando un paio di scaramucce contro i suoi uomini: il rischio di una carneficina si era fatto concreto.
Adesso bisogna capire quali saranno gli effetti del raid che ha sconvolto la Russia. Il Cremlino sostiene che il comandante della Wagner andrà in esilio in Bielorussia, dove tra l’altro Lukashenko potrebbe avere molto bisogno del suo aiuto per soffocare i segnali crescenti di rivolte popolari. C’è però la convinzione che la contropartita si vedrà nei prossimi giorni, probabilmente con la rimozione del ministro Shoigu e del generale Gerasimov. Per la sostituzione di quest’ultimo circola già un nome, gradito anche ai mercenari: il generale Sergey Surovikin. Una nemesi paradossale: nell’agosto 1991 il capitano Surovikin è stato l’unico ufficiale che ha sparato sulla folla di Mosca, uccidendo tre dimostranti.