la Repubblica, 25 giugno 2023
La debolezza di Putin
A prescinderedal suo esito, la marcia dei ribelli della “Brigata Wagner” verso Mosca ha già avuto la conseguenza di evidenziare in maniera inequivocabile cosa è cambiato al Cremlino: lo zar Vladimir Putin ora è debole.
La decisione di Yevgheni Prigozhin di denunciare un complotto ai suoi danni da parte del ministro della Difesa Sergei Shoigu e del capo di stato maggiore Valeri Gerasimov gli è servita per lanciare i suoi 25 mila uomini prima alla cattura di Rostov sul Don, sede del comando delle truppe che operano in Ucraina, e poi in una lunga e spettacolare corsa verso Mosca, al fine di evidenziare la determinazione a “mettere le cose a posto” nel cuore della Russia. Per poi fermarsi, a 200 km dalla Piazza Rossa, con un atto di volontà personale per evidenziare come sia lui, e nessun altro, padrone delle sorti della capitale e della nazione.
Il metodo dell’ex chef di Putin, diventato capo di una brigata di spietati mercenari veterani delle guerre in Medio Oriente e Nordafrica, ricorda quello dei legionari dell’Antica Roma che seguivano il loro indomito comandante nel marciare sulla capitale dell’Impero per “fare pulizia”, “combattere la corruzione” e riportare Roma “alla gloria delle origini”. Se questo è il linguaggio della Storia a cui Prigozhin ricorre – con le parole “voglio riportare la giustizia” – accompagnato da un ben pianificato ed assai efficace uso dei social network, l’intento che lo accompagna è di entrare a gamba tesa, e da assoluto protagonista, nella lotta di potere che è in pieno svolgimento a Mosca. Se fino a questo momento Shoigu e Gerasimov, due dei generali più vicini e fedeli a Putin, erano al centro di indiscrezioni e voci su accordi segreti più o meno verosimili su possibili nuovi assetti di potere, Prigozhin irrompe con i suoi blindati in arrivo dal fronte al fine di far capire anzitutto ai possibili “complottisti” – ma anche a Putin – che lui è in partita e vuole avere voce in capitolo se vi sarà un rimescolamento nella guida della più estesa nazione dell’intero Pianeta.
In attesa di comprendere come finirà la sfida per il potere al Cremlino, possono esserci pochi dubbi sul fatto che è figlia degli errori commessi da Putin a partire dal 24 febbraio 2022 quando la scelta di aggredire l’Ucraina per trasformarla in uno Stato satellite – sul modello della Bielorussia – si è infranta contro gli sbagli gravi di analisi dell’intelligence sulla volontà di resistenza di Kiev, aggravati dalla bassa qualità di armi, soldati e rifornimenti di un esercito russo rimasto indietro di almeno una generazione rispetto all’evoluzione tecnologica avvenuta nei Paesi occidentali. Pochi conoscono bene la Russia come gliucraini ed infatti il loro presidente Volodymir Zelensky durante la recente visita a Roma aveva previsto che “quando i nostri soldati avranno messo piede in Crimea grazie alla controffensiva” il “sistema di potere russo si dividerà”. La previsione sembra essersi avverata ancor prima del previsto: è bastato che le forze armate ucraine avanzassero di circa 60 km verso Sud ed Est per spingere prima Putin al devastante gesto di far esplodere la grande diga sul fiume Dnepr e poi a portare i suoi comandanti ad accelerare le divisioni interne fino agli ultimi sviluppi di queste ore. La maggior delusione per lo zar indebolito è probabilmente di essersi sbagliato anche sulla valutazione di fondo sul conflitto ucraino, più volte ripetuta in pubblico: credeva che il tempo giocasse per lui, consentendogli di far implodere il sostegno occidentale per Kiev, ed invece gioca contro di lui perché mentre le democrazie si rafforzano nell’affrontare le difficoltà, le autocrazie sono troppo rigide per riuscire a superarle. E rischiano il collasso.
Se i Paesi democratici stanno osservando con estrema attenzione l’evoluzione a Mosca è perché i protagonisti di questa faida fra generali sulle macerie dell’invasione dell’Ucraina appartengono a scuole di pensiero assai differenti. Shoigu e Gerasimov infatti sono gli interpreti più fedeli del sistema-Putin: non solo nella gestione delle forze armate e nella fedeltà ai principi espressi dallo zar – inclusa l’idea che l’Occidente sia destinato alla decadenza a causa della propria immoralità – ma anche nell’applicazione della “guerra ibrida” che ha portato negli ultimi anni la Russia ad essere protagonista di numerose ed efficaci “interferenze maligne” nei sistemi politici in Nordamerica ed Europa, ricorrendo con crescente abilità all’uso del cyber.
Prigozhin invece interpreta una visione assai più aggressiva e ultranazionalista del putinismo, contestando allo zar oramai indebolito di non riuscire più a difendere con efficacia gli interessi globali della Federazione russa, a cominciare dalla necessità di aggredire l’architettura di sicurezza creata dall’Occidente dopo la fine della Guerra Fredda. Da qui la preoccupazione palpabile – anche nei contatti avuti ieri dalla Casa Bianca con i maggiori alleati – per lo scenario possibile di un esercito privato guidato da un ultranazionalista russo capace di avere voce in capitolo sulla sorte di un Paese dotato di seimila ordigni nucleari. Questa è la maggiore novità con cui si è conclusa la tumultuosa giornata di ieri: c’è un nuovo uomo forte in Russia, assedia Putin e preoccupa il mondo intero.