Corriere della Sera, 25 giugno 2023
Sull’informazione alternativa (che poi è una sconfitta dei giornalisti)
Ottant’anni e opinioni decise, come spesso càpita a quell’età: diminuisce la cautela, aumentano le convinzioni. Il signor M. ha vissuto a lungo all’estero, dove ha lavorato come dirigente per un’azienda italiana. Ci siamo incrociati, in passato. Mi saluta con calore e mi chiede cosa faccio oggi. Gli rispondo. Sembra scusarsi: «Sa com’è, non leggo più i giornali e non guardo la televisione... Preferisco l’informazione alternativa».
Non ho cuore di chiedergli quale sia, temendo la risposta. Mi preoccupa l’aggettivo: «alternativa». Come ha ricordato Lilli Gruber nella rubrica su «7», l’aggettivo venne usato da una consigliera del presidente Donald Trump per nascondere la verità (alternative facts = falsità). Informazione alternativa: a cosa? Quotidiani, testate online, tigì, notiziari radio, programmi d’approfondimento – con tutti i loro limiti e le loro differenze – sono prodotti da professionisti. Il pubblico li giudica, e poi sceglie. Un sistema imperfetto, però funziona.
L’informazione alternativa cos’è? Partiti, aziende, enti pubblici, individui e interessi che promuovono sé stessi? Oppure, peggio: notizie incontrollate, diffuse per allarmare, provocare e far soldi? Lo abbiamo sperimentato al tempo del Covid: gli «informatori alternativi», senza basi scientifiche, confondevano le idee a molti, in cerca di clic e follower. Quante persone che conosco ci sono cascate. Persone istruite, spesso.
Il segnale di pericolo sta in cinque parole: «L’ho visto su internet». Anche questo articolo, probabilmente, lo state leggendo online. Ma sotto c’è un nome, un cognome, una vicenda professionale; una testata che ha una storia, una reputazione e offre una garanzia. Non una garanzia assoluta – nessuno è perfetto – ma certamente superiore a quella dei trafficanti del web.
È colpa nostra – dei giornalisti, intendo – se non siamo riusciti a convincervi del valore del nostro lavoro. Ogni persona intelligente che s’affida alla «informazione alternativa» è, per noi, una sconfitta personale e professionale. Il mestiere degli «informatori alternativi» è spacciare ossessioni. Voi direte: chi se ne frega, tanto è gratis! Be’, pure peggio. Se non pagate per un prodotto, il prodotto siete voi.