Corriere della Sera, 25 giugno 2023
La marcia vista da Garry Kasparov
Garry Kasparov è uno dei più grandi avversari del regime di Vladimir Putin e ora vede la strada che può portare alla sua fine. Ma, avverte, non alla fine della tragedia russa.
Come interpreta la rivolta di Evgeny Prigozhin e la sua decisione di fermarsi?
«Putin nel suo video ha detto che la Russia veniva pugnalata alle spalle come nel 1917, ma l’analogia che mi viene in mente è con la presa del potere di Mussolini. Marciò su Roma nel 1922 facendo leva sulle recriminazioni dei reduci di guerra. Così Prigozhin ha cercato di marciare su Mosca per abbattere il potere, anche se poi ha deciso di fermarsi».
Ha detto che voleva evitare spargimenti di sangue...
«Non lo sappiamo. Sappiamo solo che né Prigozhin né Putin si fanno scrupoli a versare il sangue degli altri, poco importa che siano ucraini o russi. A loro interessano solo il potere e il denaro. Se hanno concluso un accordo ieri, immagino sia solo su queste basi. Dunque durerà solo fin quando il potere e il denaro sono garantiti a entrambi».
Ma Putin per ora sembra salvo. Lo è realmente o solo in apparenza?
«Si intravede comunque la fine del suo regime. Putin non può restare al potere a lungo dopo aver perso la sua aura, il suo status di leader supremo. L’immagine che lascia da ieri è quella di un dittatore che scappa per salvarsi la vita. Per qualche ora si è assistito al collasso dell’intera catena di comando russa. La colonna della Wagner ha potuto prendere Rostov e poi avanzare indisturbata per centinaia di chilometri».
Ma non pensa che Putin abbia dimostrato che nessuna insurrezione contro di lui può avere successo?
«La situazione resta volatile e pericolosa. L’autorità di Putin è danneggiata, dubito si possa riprendere. Quello di ieri non è stato un episodio di guerra civile, perché per ora i civili non sono stati coinvolti. Ma non ci siamo andati lontani: non può restare senza conseguenze».
Cosa le fa pensare che il sistema putiniano poggi su basi così fragili?
«È un potere mafioso, estremamente duro con la povera gente. La disuguaglianza nella società ha raggiunto livelli superiori a quelli africani. Putin ha mandato in guerra centinaia di migliaia di uomini dalle province più povere. Ha preservato gli abitanti di Mosca e San Pietroburgo, ma nel resto del Paese ci sono duecentomila fra morti o feriti. Ormai tutti hanno legami con qualcuno che è rimasto ucciso o mutilato in Ucraina. In Russia c’è una grande domanda di giustizia sociale, le disparità sono grottesche e la guerra le ha rese ancor più dolorose».
È plausibile che Prigozhin si sia fermato perché ha capito che non poteva vincere?
«Non lo sappiamo, ma poteva arrivare a Mosca. È probabile che ci sarebbero stati combattimenti nella capitale. Prigozhin ha un contingente fra cinquemila e diecimila soldati, pochi in confronto ai centomila della Rosgvardiya. Ma non è solo una questione di numeri: contano la qualità e la determinazione».
Che intende dire?
«La Wagner ha con sé gente esperta, che ha combattuto. Molti sono criminali, ma fra loro ci sono alcuni dei migliori guerrieri del mondo. E non hanno paura di morire. Putin forse ha ancora dalla sua i generali, ma non ha più i luogotenenti o i caporali».
Cos’ha scatenato, per lei, la rivolta di Prigozhin?
«Il decreto che sanciva il passaggio dal primo luglio di tutte le milizie private sotto il controllo del ministero della Difesa. A quel punto Prigozhin non aveva niente da perdere: gli avrebbero tolto il controllo della Wagner e sapeva che sarebbe stato mandato a morire in prima linea».
Che conseguenze vede sulla guerra in Ucraina?
«Sarei sorpreso se gli ucraini non cercassero di approfittare di questa situazione per attaccare e riprendere più territorio nei prossimi giorni».