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 2023  giugno 25 Domenica calendario

Cronaca della (mancata) marcia su Mosca


Pace fatta all’ultimo momento, «per evitare uno spargimento di sangue», anche se non sono ancora del tutto chiari i termini dell’intesa alla quale ha dato una copertura «internazionale» il presidente bielorusso Lukashenko, forse per salvare la faccia a Vladimir Putin. Ieri mattina infatti, quando i miliziani di Evgenij Prigozhin avevano iniziato la loro marcia su Mosca, il capo del Cremlino era intervenuto con parole durissime in diretta televisiva nazionale, bollandoli come traditori, terroristi e ricattatori. Difficile quindi poche ore dopo far digerire al popolo russo, nonostante la sua ormai comprovata bocca buona per le cose raccontate sull’Ucraina, che si era trovata un’intesa.
La Wagner non minaccia più il cuore del potere con la sua colonna che era giunta fino a 200 chilometri dalla capitale. Prigozhin abbandona la partita, secondo il portavoce di Putin, e si trasferisce in Bielorussia. I miliziani che erano con lui non saranno perseguiti penalmente mentre gli altri potranno firmare un contratto con la Difesa per unirsi alle truppe ufficiali. Non è ancora chiaro quale sarà il destino dei due odiati nemici di Prigozhin, il ministro della Difesa Shoigu e il capo di stato maggiore Gerasimov. Lui ne aveva chiesto, come minimo, l’allontanamento (ma in altre dichiarazioni anche l’arresto, la fucilazione…) e i suoi dicono che abbia ottenuto questo risultato. Invece il Cremlino sostiene che eventuali riorganizzazioni alla Difesa non sono state discusse con il capo della Wagner. Ieri sera però circolava la voce di un avvicendamento. Al posto di Shoigu andrebbe Diumin, attuale governatore di Tula.
Il potere
Nata come rivolta contro l’incompetenza e la corruzione degli alti vertici militari, quella di Prigozhin si era trasformata in una ribellione contro lo stesso potere russo e contro il presidente. Almeno cinquemila mercenari avevano lasciato Rostov sul Don dopo averne preso il controllo e avevano percorso 800 chilometri verso Mosca senza incontrare alcuna resistenza. Il centro della capitale era stato nel frattempo parzialmente blindato mentre molti, tra i quali tutti gli oligarchi, si erano affrettati a partire. Da ex fedelissimo esecutore degli ordini di Putin, Prigozhin si era trasformato nei racconti delle autorità in un bandito. Uno spauracchio per convincere gli altri Paesi (se mai ce ne fosse stato bisogno) a tenersi fuori della disputa.
Tutto era cominciato venerdì mattina, con una intervista molto più dura e sincera delle solite, rilasciata da Prigozhin. Non solo un attacco a Shoigu che avrebbe voluto iniziare l’Operazione militare speciale in Ucraina «per ottenere il bastone di maresciallo» e mettere sul petto la «seconda stella d’oro di eroe della Russia». Il capo della Wagner aveva affondato il colpo contro l’intera leadership.
La «bugia»
Dal Paese confinante non era mai venuta una minaccia contro la Russia. «Il ministero della Difesa cerca di ingannare l’opinione pubblica e il presidente affermando che dall’Ucraina stesse partendo una folle aggressione e che Kiev intendesse assalirci assieme a tutto il blocco della Nato». Anche la demilitarizzazione e «denazificazione» del vicino erano «pretesti fasulli». Inoltre Zelensky, «quando diventò presidente era pronto a qualsiasi intesa e tutto quello che bisognava fare era scendere dall’Olimpo e andare a trovare un accordo». Insomma, l’ex ristoratore metteva in dubbio le cose che lo stesso Putin aveva detto dall’inizio per giustificare l’intervento dell’Armata russa.
Poi, nella tarda serata, nuove dichiarazioni, ancora più dure. I militari avevano bombardato con razzi gli accampamenti dei suoi uomini nelle retrovie, uccidendo un altissimo numero di miliziani che si stavano riprendendo dopo aver combattuto nella «eroica» battaglia per la conquista di Bakhmut delle scorse settimane. I wagneriani si trovavano già nei pressi della città di Rostov, sede del quartier generale della campagna in Ucraina. E Prigozhin chiedeva l’immediato arrivo lì del ministro della Difesa e del capo di stato maggiore per una resa dei conti definitiva. «Siamo venticinquemila e andiamo a fare chiarezza sul perché nel Paese ci sia questo casino». Invitava anche le forze regolari a unirsi alla Wagner per ripristinare «la giustizia nell’esercito e in Russia».
Il colpo di mano
Ancora poco e dopo l’alba di ieri il Comandante compariva proprio nel centro di Rostov, annunciando di aver preso il quartier generale. I suoi, inoltre, controllavano gli uffici dei servizi segreti, la polizia e l’aeroporto: in pratica, l’importantissimo centro era nelle mani della Wagner. Assieme a Prigozhin, in un video compariva anche il viceministro della Difesa Evkurov, evidentemente mandato in tutta fretta da Mosca.
Ma l’incontro non era stato risolutivo, tanto che i reparti con la tuta mimetica color ocra (più chiara di quella dei soldati regolari) si erano subito messi in movimento lungo l’autostrada che da Rostov porta a Mosca, mille chilometri più a nordest. Poche ore e i wagneriani annunciavano di aver preso Voronezh, a metà strada, senza fermarsi.
Ancora una volta Putin, di fronte a una crisi improvvisa, non è comparso per diverse ore, lasciando i fedelissimi nell’incertezza, compresi i conduttori dei programmi tv di regime che si sono guardati bene dal comparire sugli schermi. Intanto proseguivano dietro le quinte le trattative. Prigozhin forse sperava di avere subito l’appoggio del líder maximo contro i suoi nemici. Ma così non sembrava e alla fine, alle dieci del mattino (era stato annunciato per le nove), Putin ha parlato alla nazione, sconfessando duramente il suo ex cuoco. «Una pugnalata alla schiena del nostro popolo». Come nel 1917, quando i bolscevichi «rubarono la vittoria» contro il Paese che stava combattendo nella Prima guerra mondiale. «Ci difenderemo da qualunque pericolo, compreso il tradimento interno».
La Rivoluzione d’ottobre, in realtà, riuscì proprio perché i bolscevichi poterono trarre vantaggio dalla disastrosa situazione al fronte. Alti gradi incompetenti, strutture assolutamente inadeguate e armamenti insufficienti, sconfitte a ripetizione. Esattamente quello che oggi sostiene Prigozhin parlando dell’Operazione speciale. Dopo che Putin ha dato il «la», è partito l’attacco mediatico contro il ribelle da parte dei soliti falchi del regime.