Domenicale, 25 giugno 2023
Boezio, primo bestseller filosofico globale
Il De consolatione philosophiae di Boezio, in cinque libri, è un’opera in prosa e versi scritta in carcere a Pavia mentre attendeva la morte. Correva il 524 della nostra era. La data, tuttavia, non ha particolare importanza: in queste pagine si ritrova la filosofia greca e compaiono già numerosi elementi del pensiero medievale. Per questo Boezio è definito l’ultimo antico e il primo degli scolastici.
Aldilà delle formule, va ricordato che la “Consolazione della Filosofia” è permeata di religiosità e di sentimenti cari ai cristiani, anche se le pagine tacciono di Gesù e dei Vangeli. I temi trattati – dal male al vero bene, dalla felicità alla provvidenza, via via sino alla libertà – sono esposti con linguaggio neoplatonico e concezioni aristoteliche. Un esempio: per Boezio Dio è – così disse Platone – il Bene; per bontà ha creato il mondo e con il medesimo sentimento lo governa; Egli è anche, come insegna Aristotele nella Metafisica, il motore immobile dell’universo.
Pochi libri, al pari della Consolazione, furono letti, tradotti, imitati. Già nel IX secolo Alfredo d’Inghilterra lo rese nel nuovo volgare anglosassone; in tedesco, un centinaio d’anni dopo, c’è la versione di Notker di San Gallo. In francese circola nel XIII secolo quella di Jean de Meung, che è contemporanea della greca del bizantino Massimo Planude. Inoltre ce n’è una ebraica. Vanno poi ricordati i numerosi commenti: il primo rilevante si deve a Scoto Eriugena (IX secolo).
Non poteva mancare nella collana di classici della Fondazione Lorenzo Valla un’edizione dell’opera di Boezio. La cura è di Peter Dronke, la traduzione di Michela Pereira e Piero Boitani. Il testo è stato ricavato da tre recenti edizioni autorevoli e nelle note s’informa il lettore delle varie soluzioni; d’altra parte, proporre un apparato critico esaustivo sarebbe stato un lavoro monumentale, giacché sono oltre 400 i manoscritti della Consolatio pervenuti.
Una lode va alla traduzione di Pereira e Boitani, gradevole e attenta. Boezio, utilizzando il gioco delle antitesi e senza risparmiare sottigliezze dialettiche, si avvale di una prosa pieghevole a tutte le sfumature del pensiero; sembra poi che da esse voglia allontanarsi quando si caricano d’idee, cercando requie in poesia, sovente permeata da un senso di pacata rassegnazione. Un caso? Eccolo nel finale del libro III, dove Boezio, poste in un canto le questioni filosofiche, dona al lettore un carme su Orfeo ed Euridice. I versi corrono verso il bene supremo e passano da una locuzione virgiliana a un’altra tratta da Orazio e Seneca. Il lettore, dopo gli slanci del pensiero, gli è grato. E avverte il sollievo recato dalla “luce superna”.