Domenicale, 25 giugno 2023
Il vero leader accetta il caso
Il 12 giugno 1831 il re Luigi Filippo passa in rassegna le truppe a Metz, nel Nord della Francia. Piove. Il servitore gli porge il mantello. Il re fa segno che non ne ha bisogno. «I soldati non avevano un mantello, e neanch’io lo volevo. Risuonò il grido: bravo il Re, viva il Re!», così racconta Luigi Filippo alla consorte Maria di Borbone. Messaggio chiaro: “Io sono come voi, se voi vi bagnate, mi bagno anche io”.
Così si apre il piacevole saggio sulla leadership di Gianluca Giansante, studioso appassionato e preparato dell’Università Luiss di Roma, socio di un noto studio che lavora con le aziende dove la leadership si presenta in tutte le sue sfaccettature e criticità.
Nelle accademie, oggi, si potrebbe essere indotti a credere che il primato di un ricercatore sia riducibile al numero di citazioni delle sue pubblicazioni. Non è così scontato. In una sorta di gioco è stato chiesto ai partecipanti di immaginare, dopo la caduta di un aereo, di trovarsi sperduti in terre ignote e di dover scegliere una guida. Alcuni elessero il leader alla luce delle migliori competenze. Altri invece lo individuarono a caso, in base all’ordine alfabetico dei nomi. Funzionò meglio il secondo gruppo: più coeso, armonico, affiatato. Quando la scelta viene fatta esclusivamente in funzione della competenza, gli esclusi non sempre accettano il verdetto. Se voltano le spalle al leader, viene a mancare l’unità di intenti e di azione che spesso è cruciale per la salvezza comune. Analogamente, non è detto che lo scienziato più bravo sia anche quello più adatto a guidare un gruppo di ricerca perché non sempre possiede l’umiltà che lo mette al servizio degli altri, del bene collettivo. Partecipare al destino comune è la premessa per capire gli stati d’animo di coloro che sono guidati ma non sottoposti: Luigi Filippo si bagna, Annibale dorme in terra insieme alla truppa, Giulio Cesare sta all’addiaccio, Alessandro Magno resta assetato al pari dei suoi uomini. Gli studiosi parlano in questi casi di leadership orientata “al servizio” (servant leadership): il capo è primus inter pares.
Andrea Bobbio dell’università di Padova, in una ricerca meticolosa condotta nel 2017 con altri studiosi di diversi Paesi europei, ha elaborato le risposte a un questionario volto ad analizzare e misurare la leadership “al servizio”. Sono state isolate le componenti di questa nozione con più facce: dal coraggio all’umiltà, dalla responsabilità all’autenticità, dal render conto all’attenzione al bene generale.
La leadership può essere ereditata, come nel caso dinastico, o conquistata, come per i condottieri e capi di aziende, ma che cosa succede quando la Storia toglie a un leader lo scettro del comando? Forse è interessante confrontare la storia di due imperatori, così come ci è stata mostrata in celebri film.
Bernardo Bertolucci (1987) racconta ne L’ultimo imperatore come questi, impotente, si pieghi di fronte alle vicende cangianti del suo Paese, dall’invasione dei giapponesi alla presa del potere di Mao. Nel film Il Sole il regista Aleksandr Sokurov (2005) mostra, al contrario, la dignità e il controllo dell’imperatore giapponese in seguito alla disfatta del suo Paese. Hirohito viene rispettato dal generale americano MacArthur: «Era Imperatore dalla nascita, ma in quel momento mi resi conto che avevo incontrato il primo gentleman giapponese». Hirohito era stata fino allora una figura sacra, espressione divina.
Ma nella tragedia riesce a trasformare il sacro religioso del passato, l’imperatore come divinità, in una sorta di sacro civile, l’imperatore come collante per risorgere in un mondo nuovo e per proiettarsi in una nuova Nazione.
Altrettanto interessante è il caso di Nelson Mandela, narrato nel film Invictus diretto da Clint Eastwood (2009). Mandela eredita un Paese diviso e, da vero leader, rifiuta la vendetta, supera il passato, perdona e accoglie, forgiando una nuova identità inclusiva per i cittadini di una nuova Nazione. Egli usa come “cemento” il rugby, fino allora praticato esclusivamente dai bianchi. Riesce così a trasformare uno spettacolo sportivo in una sorta di celebrazione del “sacro civile”, un rito a cui tutti possono appassionarsi, un simbolo in cui identificarsi insieme. Anche in un Paese erede di una guerra civile, gli Stati dis-Uniti d’America, ci sono rari momenti in cui tutte le diversità sono dimenticate. Per esempio, durante l’annuale e mitica partita del Superbowl, quando si canta l’inno che celebra i doni della Natura all’America.
Le leadership, pur diverse, hanno un minimo comune denominatore, quello che Robert Musil ne L’uomo senza qualità chiama l’effetto “carta moschicida”. La maggior parte delle persone pensa che quanto hanno raggiunto sia il risultato delle loro doti. In realtà è il caso, sotto forma di una metaforica carta moschicida, che li ha progressivamente intrappolati e incollati a quella che è diventata la loro vita. «Ma ancora più strano – osserva Musil – è che la maggior parte della gente neppure se ne accorge; adottano l’uomo che è giunto da loro… le sue esperienze le considerano espressione delle loro qualità…». Il vero leader, al contrario, non dimentica mai il ruolo del caso e lo affronta con coraggio e speranza, a fianco del suo gruppo, adattandosi alle circostanze mutevoli e plasmandole.
Nel film Invictus l’amico fedele spiega a Mandela che, secondo gli esperti, saranno sconfitti nella partita finale.
Mandela risponde: «Secondo gli esperti, te ed io adesso dovremmo essere in carcere a Robben Island».
Gianluca Giansante
Leadership. Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti
Carocci Editore, pagg. 182, € 15