Il Messaggero, 25 giugno 2023
Intervista a Alberto Angela
Nessuno aveva dubbi, ma adesso è ufficiale: Alberto Angela, 61 anni, torna in tv per raccogliere l’eredità del padre Piero, morto il 13 agosto 2022. Dal 29 giugno per sei puntate sarà su Rai1, alle 21.25, con Noos - L’avventura della conoscenza, nuovo programma di divulgazione scientifica, evoluzione del popolarissimo Superquark guidato dal 1995 dal giornalista torinese che giovedì è addirittura finito in una delle tracce della Maturità per il suo ultimo libro, Dieci cose che ho imparato.
Cosa l’ha sorpresa in questi primi dieci mesi senza di lui?
«Per me è come se si fosse aperto il sipario su un mondo di cui ignoravo l’esistenza: foto, filmati, testi. Ho capito meglio quanto papà guardasse lontano. Negli Anni Settanta per esempio, ha affrontato il tema ambientale - che nessuno considerava - e ha scritto libri su questioni che mi sembravano quasi lunari: perché bisogna fare più figli, ti amerò per sempre, a cosa serve la politica... Solo adesso che non c’è più ho messo a fuoco: era la sua eredità. Il bagaglio per il futuro. Papà anche nel distacco ha programmato ogni cosa: l’ultimo progetto, la registrazione della sua musica al pianoforte, il messaggio per il pubblico (...
penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra..., ndr) dettato a me e a mia sorella, poche ore prima di andarsene, quando aveva difficoltà anche a parlare».
Chi ha avuto l’idea di sostituire "Superquark"?
«Noi due insieme. Volevamo che in tv ci fosse ancora un programma di divulgazione scientifica. Dopo, mi sono preso un po’ di tempo per pensarci, e quando ho deciso di andare avanti il primo a saperlo è stato il presidente Mattarella: a settembre con mia madre, mia sorella Christine e i dirigenti Rai siamo stati al Quirinale per regalargli un cofanetto con i dvd di papà. Il nome
Superquark, però, era e resterà per sempre di Piero Angela».
E quindi, che farà?
«Ho messo in pausa Meraviglie e con i vecchi e nuovi autori ci siamo messi al lavoro: ci saranno novità ma il format resta lo stesso. Spazio a documentari, servizi e rubriche su alimentazione, tecnologia, spazio, archeologia e geopolitica... di cui nessuno parla. La tv deve nutrire i cervelli, non addormentarli».
Si occuperà anche di intelligenza artificiale e delle questioni etiche che pone?
«Sì, ma senza essere critici né divisivi. Cosa che vale anche per la sessualità. L’affronteremo ma non nella prima parte della puntata, siamo su Rai1...».
Come?
«Con attenzione: calo del desiderio, preliminari, tradimento...».
A proposito, la psicologa Terri Fisher dell’Ohio State University di Mansfield, in America, con una ricerca ha stabilito che gli uomini adulti sani in un giorno fanno 18 volte pensieri legati al sesso e le donne 10: lei si riconosce in questa media?
«Anche se sapiens sono un uomo. Diciamo che non ho mai fatto calcoli... Dipende da dove uno si trova e cosa fa. Non è un’ossessione, però... Non lo so».
Con "Noos" affronterà questioni come fluidità di genere o maternità surrogata?
«No. Perché non vogliamo spaccare il pubblico. La scienza non divide, è l’interpretazione che può farlo. Anche per questo parleremo di web e fake news».
Quella sul suo conto che le ha dato più fastidio?
«La storia del mio rapimento in Niger che periodicamente viene fuori come se fosse ancora in corso (
risale al 2002, Angela con la troupe fu bloccato per 15 ore da criminali armati, ndr). Per non parlare di quella volta che, nel 2015, ero in Argentina, mi hanno dato per morto. In albergo il regista venne in stanza: tutto bene? Qui c’è scritto...».
Lei ha 5 lauree (4 honoris causa), è Commendatore della Repubblica, le hanno dedicato un’orchidea e anche un asteroide: è vero che parla anche il curdo e lo swahili? Con lei l’autostima di un umano normodotato va un po’ in crisi.
«Ahahahah... (ride). Non è vero. Queste sono fake news. Di swahili sapevo quattro parole quando facevo gli scavi in Africa. Di curdo neanche quelle».
Se da un’astronave marziana vedessero la tv italiana e le chiedessero che lavoro fate lei e Roberto Giacobbo (conduttore di "Freedom" su Italia 1, ndr), cosa risponderebbe?
«Ahaha... (ride). Ognuno fa il suo. L’importante è farlo bene».
Lei e suo padre siete stati molto copiati, forse troppo?
«Sì, ma va bene così. Ognuno fa quello che vuole. L’importante è non usare mai la scienza per fare spettacolo, ma lo spettacolo per spiegare la scienza. Poi, come sempre, decide la gente».
Sua madre da giovane ballava alla Scala di Milano: lei per caso danza?
«Noooo... (ride), per conto mio».
Suo padre suonava il piano e prima di andarsene ha registrato un disco jazz: lei ha progetti diversi dal solito?
«Apprezzo molto la coerenza e mi va bene quello che faccio. Non voglio cambiare e non so suonare. I miei figli sì, però».
Dalla ricerca è passato alla tv.
«È vero. Sono passato dallo studio al giornalismo. Ma sono sempre un paleontologo prestato alla tv».
Lei prima di fare tv in Svizzera, nel 1990, rinunciò ad andare a Berkeley, dove la volevano: oggi se la chiamassero lì o ad Harvard accetterebbe?
«Per andare a fare uno scavo in Africa sì, subito. Idem per una spedizione nello spazio».
Nel 2022 ha fatto uno speciale sul Titanic: l’avrebbe mai usato il sommergibile che è appena imploso?
«Per carità, lasciamo stare».
I suoi figli che fanno?
«Hanno 19, 24 e 25 anni e si occupano di ingegneria e ambiente. Per ora hanno le loro strade».
Da giovane c’è mai stato un periodo in cui non voleva essere come Piero Angela?
«Mai avuto quell’atteggiamento. Abbiamo discusso, ma niente di più. Io non pensavo di fare tv, dopo la laurea sono stato in Congo, Tanzania, Oman. Ho iniziato in Svizzera dopo un’intervista rilasciata durante uno scavo. Poi nel 1997 con Passaggio a nord ovest - in Rai dovevano smaltire documentari - è cambiata tutta la mia carriera».
Che rapporto di lavoro ha con la Rai?
«Non sono un dipendente e, al contrario di quello che si dice, non ho una società di produzione: sono un consulente che non è legato alla Rai con un contratto di sangue. Se l’azienda vuole, ci sono e ci sarò. Sono un professionista che lavora per la Rai ormai da trent’anni, ma succede anche nel calcio: c’è il bomber che gioca per una vita nella stessa squadra e poi se ne va».
Quindi?
«Rispetto mio padre il quale diceva o Rai o niente, ma io sono di un’altra generazione. Anch’io, finché posso, vorrei continuare qui perché la divulgazione deve essere pubblica, ma se la Rai mi mette in condizione di non lavorare al meglio, o ha dei dubbi, io vado altrove».
Guadagna quanto un calciatore? Quanto Amadeus?
«Meno. E non ho gli sponsor. Di sicuro, se lavorassi con i privati, potrei guadagnare molto di più, anche dieci volte di più. La conoscenza però, deve essere divisa con tutti, come il pane, e per me la migliore tavola è il servizio pubblico. Ma sono pronto a tutto, ogni cosa può cambiare».
Vive con l’ansia degli ascolti?
«Per niente. Non faccio lo snob, ma come divulgatori abbiamo una grande responsabilità e quindi se non vinco ma abbiamo fatto un buon lavoro, sono contento lo stesso. E Maria De Filippi qualche volta l’ho battuta... (ride)».