Avvenire, 24 giugno 2023
Biografia di Yves Bonnefoy
Cento anni fa, il 24 giugno 1923, nasceva a Tours Yves Bonnefoy, credo uno dei più importanti poeti di lingua francese del secondo Novecento, e uno dei maggiori al mondo. Uno a cui, non si sa perché, fu negato il Nobel, come a Borges e a Luzi. La sua opera centra il punto di crisi e ardore cruciale del Novecento, il senso di dissoluzione della realtà, a cui Bonnefoy risponde con una poesia che drammaticamente rifonda, facendolo riemergere, lo spazio del mondo reale, la culla originaria dell’uomo. Poesia come conoscenza, per svelamento. La sua straordinaria opera saggistica sulla letteratura europea e l’arte, in particolare italiana, si sposa alla traduzione di grandissima parte dell’opera di Shakespeare, in cui il poeta vede la rappresentazione piena dell’esistenza, quel teatro del mondo «che fa dell’opera shakespeariana la scena in cui realtà e sogno si compenetrano».
Come scrive Eliot, ogni poeta modifica la poesia, ma il grande poeta cambia anche la stessa lingua in cui scrive. Mi spingo oltre quest’affermazione, fondata quanto originale: alcuni poeti cambiano anche la cultura del loro mondo, del loro tempo. Eliot è tra questi, come Yeats, come Rilke: sul modello di Goethe, ampliano e modificano la concezione del mondo dei loro contemporanei: Bonnefoy è uno di questi, come John Keats, Coleridge, Shelley, Baudelaire.
«ll mondo ha bisogno della poesia, dal momento che la società umana può esistere solo attraverso una decisione originaria, costitutiva che è poi l’essenza stessa della poesia». Nei suoi versi e nel suo pensiero (saggista straordinario, su letteratura e arte), ciò che si oppone alla poesia, non è la scienza ma la cultura scientista di chi immagina che essa, la scienza, possa essere una rappresentazione completa e sufficiente del mondo. Il reale allora diventa invisibile ai nostri occhi e smette persino di esistere. A questo rischio di monoteismo logico e scientifico si contrappone la poesia, che è esplicitamente, in Bonnefoy, una forma di resistenza dello spirito. Questa visione spiega come la sua indagine sui suoi predi-letti, da Keats a Yeats, da Rilke a Leopardi, costituisca un corpus molto più ampio e complesso di una pura raccolta di saggi: è un poema in prosa sulla poesia, attraverso modelli, autori, a cui corrisponde un’analoga opera trattatistica sull’arte, in particolare quella, amatissima, italiana.
Da Movimento e immobilità di Douve (pubblicato in Italia già nel 1969), libro subito famoso, a quelli che seguiranno, un’opera potente, continua, sempre luminosa e svelante. Con non pochi vertici, come Pietra scritta, epocale espressione della poesia che si imprime perennemente nel tempo fuggente. L’opera del poeta parigino è stata ed è seguita bene nella sua amatissima Italia, molte le sue raccolte edite, da subito, poi il Meridiano Mondadori curato dal suo massimo studioso, il poeta Fabio Scotto, che in questi anni, dopo la morte del maestro, ha pubblicato tra l’altro Insieme ancora, libro di versi al solito livello, mentre per lo stesso editore, Il Saggiatore, la molto brava Sara Amadori cura un saggio fondamentale L’esitazione di Amleto. Scritti su William Shakespeare.
La poesia di Yves Bonnefoy è anche un lungo racconto, il racconto della cosmica conflittualità degli elementi, che lascia a lato la sfera della psiche: il poeta non indaga il lato psicologico e sentimentale dell’uomo, ma le forze che gli corrispondono, nelle energie primordiali, nelle fibre e nel volto del mondo.
Bonnefoy, il traduttore del “Teatro del mondo” (tale l’Opera di Shakespeare), ha curato un Dizionario delle mitologie e delle religioni, e un’opera del genere sta al teatro shakespeariano come l’altra faccia della medaglia, o, meglio, come lo scheletro sta al corpo. La sua poesia affonda le radici e ascende nel mondo degli archetipi, è sempre “cosmologica”, l’aggettivo con cui definisce ogni tragedia e commedia di Shakespeare. L’amore per l’arte, che si esprime in saggi memorabili, rivela l’attenzione del poeta a quel movimento con cui l’uomo esce dalla condizione primitiva replicando un gesto di creazione avvenuto in origine e offuscato nella memoria dalle nebbie delle ere. L’onnipresenza degli elementi primi nell’opera poetica di Bonnefoy, la ricerca della loro realtà per conoscere e interpretare la nostra (fuori dallo psicologismo borghese, nel calderone elisabettiano, lucreziano, nel dramma), suggerisce una considerazione: Bonnefoy ha studiato inizialmente scienze e matematica per poi abbandonarle dedicandosi interamente alla poesia. E, al centro di tutto, Shakespeare: la poesia che si fa voce del mondo.
Partito da studi logici e matematici, passato a quella diversa indagine del reale che è la poesia, Bonnefoy si rivela come uno dei pochi autori occidentali che, al termine dalla metà del secolo della crisi, delle avanguardie, dell’ansia, affida alla ricerca poetica una missione conoscitiva profonda, non consolatoria, non laterale, non ancillare, chiedendole di interrogare non i sintomi di un disagio, ma la realtà del mondo.
«Sì, la poesia è fondamentalmente speranza, essa vuole pensare che lo stato d’unità con gli altri esseri, che caratterizza la persona umana prima dell’instaurazione del linguaggio, può ristabilirsi in seno alle parole, nella parola che essa intende sostituire al discorso del pensiero concettuale. È attraverso l’esperienza della bellezza che la poesia cerca di verificare se la sua speranza è fondata».
Come ci racconta, nel capolavoro sopra citato, Una pietra: «Fui bella, un tempo./ Può darsi che un giorno come questo mi somigli./ Ma i rovi hanno ormai vinto sul mio viso,/ la pietra grava sul mio corpo./ Avvicinati,/ ancella verticale striata di nero,/ e avvicina il tuo piccolo viso. Espandi il latte tenebroso, esalta / la mia semplice forza./ Restami fedele, / nutrice ancora, ma d’immortalità»