Robinson, 24 giugno 2023
Un museo in miniatura per Duchamp
Alla sua ultima opera Marcel Duchamp lavorò vent’anni, in segreto, nel suo studio di New York. Étant donnés: 1° La chute d’eau 2° le gaz d’éclairge è un’opera testamento misteriosa e contradditoria rispetto al pensiero del maestro concettuale dell’arte contemporanea. Attraverso due fori su una porta di un vecchio fienile trovato a Cadaqués, si accede con la vista a una stanza dove il corpo nudo di una donna giace inquietante adagiato su un groviglio di sterpi, le gambe aperte in un’evocazione dell’Origine du monde di Courbet, il volto nascosto, in una mano una lampada a olio accesa. Dietro di lei si apre un paesaggio montano con una cascata in lontananza. Un lavoro controverso ed enigmatico, costruito appositamente per il Philadelphia Museum of Art – dove venne allestito postumo nel 1969 per volontà dell’artista, seguendone rigorose istruzioni – che continua ad animare un dibattito interpretativo infinito. Nel 2006 una coppia di artisti e ricercatori, Caroline Bachmann e Stefan Banz (tra gli inventori del Gran Premio svizzero d’arte / Prix Meret Oppenheim), vanno a vivere a Cully, in Svizzera, dove lei è nata e cresciuta. Vogliono dedicarsi a un ciclo di opere che si concentrino su un’idea di arte come immagine autonoma, non dipendente da concetti e parole. Si interrogano su quale sia il rapporto tra copia e originale. Partono proprio da Étant donnés e, studiandone genesi e approfondimenti, scoprono, in una nota di un catalogo, che la famosa cascata alle spalle della donna è proprio quella che scorre a pochi chilometri da casa loro, la cascata Le Forestay. Scoprono anche che Duchamp aveva fatto uno scatto alla cascata nel 1946 durante un suo soggiorno nella zona, utilizzandolo poi come modello per l’installazione. Scrivono allora al direttore del Philadelphia Museum, che per coincidenza stava ultimando un testo su Étant donnés, e inizia così uno scambio e una collaborazione che sfociano in un famoso simposio internazionale tenutosi nel 2010 a Cully, per fare il punto su un’opera scomoda che ribaltava tutti i temi chiave delle avanguardie con la sua manualità estrema, l’iperrealismo, la mancanza assoluta di testo e spiegazioni se non quel manuale d’istruzioni dettagliatissimo prodotto da Duchamp stesso.
Dal convegno e dalla pubblicazione dei suoi atti, che esce con il titoloMarcel Duchamp and the Forestay Waterfall, è germinata la KMD, la Kunsthalle Marcel Duchamp – Forestay Museum of Art, un museo privato in miniatura e mobile, sempre aperto, che vive nel giardino della casa degli artisti. Una kunstalle che ha anche una propria casa editrice, nata in occasione del simposio, che pubblica edizioni curatissime di piccolo formato, tra libri di artisti, teoria dell’arte e cataloghi di mostre.
Grande come una cassetta delle lettere, il KMD è un display espositivo geniale che sarebbe piaciuto a Duchamp, surreale e dadaista insieme nel suo affacciarsi sulla passeggiata che costeggia il lago Lemano a ogni ora del giorno, in dialogo con lo spazio pubblico. Un dispositivo voyeuristico che invita ed educa all’osservazione, al porre attenzione alla visione, così come lo facevano i fori nella porta di legno di Étant. In questa capsule, originariamente costruita in legno ma ora sostituita da una nuova versione di sforma sferoidale in rame smaltato e vetro, hanno esposto giovani artisti appena usciti dall’accademia e figure affermate come Cildo Meireles, Karin Sander, Ai Weiwei, Haegue Yang, Thomas Locher, Vanessa Billy, Aldo Walker ed Ecke Bonk. Una cinquantina di nomi che sono sempre venuti di persona ad allestire, a parte Ai Weiwei che in quel momento era in prigione in Cina. Tutti sono invitati a lasciarsi ispirare nel modo più libero da Étant donnés.Il 17 giugno si è inaugurata la mostra di una giovane artista francese, Iroise Doublet, Mistaken for magic, una pittrice che ha trasformato il piccolo museo in una sorta di libro dipinto. Una striscia di carta delinea un fregio continuo di disegni nella parte bassa, mentre in alto simboli e segni mescolano ready-made e pittura. Anche questo lavoro tiene viva l’eredità e la discussione sull’opera che Duchamp ci ha lasciato come enigma aperto.