Corriere della Sera, 24 giugno 2023
Gli 80 anni di Vittorio Feltri
Buon compleanno, direttore.
«Lascia stare, dammi retta».
Però ottant’anni sono un bel traguardo.
«Partiamo da un concetto: invecchiare è l’unico modo per non morire giovani. Detto questo: quando ero ragazzo io, i vecchi erano rispettati e, in qualche caso, venerati. Oggi siamo considerati dei rompiscatole, occupatori abusivi di spazio pubblico, e così, nei nostri confronti, si è sviluppata una forma di autentico razzismo. I più gentili, leggendo il pezzo che stai per scrivere, mi compatiranno. I più spietati, e alla moda, sbufferanno».
Vittorio Feltri è tra i giganti del nostro giornalismo. Può piacere moltissimo, o poco. È divisivo? Certo che lo è. E tanto. Ma bisognerebbe sempre diffidare di chi scrive per piacere a tutti, di quelli che puntano al pareggio dalla prima all’ultima riga. Lui sai sempre da che parte sta. E comunque, per capirci: è uno che ancora sposta copie, ha un suo pubblico, gente che va in edicola a versare l’obolo solo per leggere lui.
Grande scrittura, grande «inviato speciale» (memorabili le stagioni in cui si esibì qui, al Corriere), ma che avesse lo straordinario dono di intuire le aspettative dei suoi lettori si capì nel 1989, quando assunse la guida del settimanale L’Europeo, assai malconcio: in due anni lo portò da 78 mila a 130 mila copie e così, da allora, dirigere giornali è diventato il suo mestiere («Ne avrò diretti sette oppure otto, ho perso il conto»), di certo ha diretto l’Indipendente e il Giornale, per fondare poi, nel 2000, Libero.
Che stai per lasciare, se ho capito bene. «Sì, sto per tornare al Giornale, che sarà diretto da Alessandro Sallusti. A me hanno proposto di tenere l’omelia della domenica, e di gestire una “stanza”, tipo quella di Montanelli». Per spostarti hai chiesto un aumento agli Angelucci, i nuovi proprietari? «No. Ma ho preteso lo stesso stipendio. Che è già molto alto. I soldi mi interessano». Prosegui. «La libertà di un giornalista si misura dalla busta paga. Dalla possibilità che hai di andare da un sarto e farti fare un buon abito su misura». Sai che ci sarà dibattito, su questa affermazione. «Non me ne frega niente». La tua cabina armadio, comunque, è leggenda. «Tengo all’eleganza. Però il vestito che indosso oggi ha una ventina d’anni. Ho il vantaggio di aver mantenuto sempre la stessa taglia: peso 66 chili, sono alto 1,82 cm». Quando è morto Silvio Berlusconi, hai detto: gli sono riconoscente, mi ha fatto diventare ricco. «Mi chiamò al Giornale dopo Indro. Vendevano 115 mila copie. Dopo 2 anni, eravamo a 250 mila. Allora Berlusconi, come premio, mi cedette il 7% dell’azienda, che comprendeva il palazzo dove c’è la redazione, in via Negri. Da quel giorno, non aspettai che di incassare la liquidazione. Con quei soldi ho anche comprato casa a tutti e quattro i miei figli».
Feltri si porta addosso non solo blazer impeccabili, ma anche tanta vita: orfano a 6 anni, un diploma da vetrinista («Lavoravo per pagarmi gli studi») e una laurea («Inutile») in Scienze politiche: prima un matrimonio giovane (la moglie Maria Luisa che muore dopo il parto e lo lascia con due gemelle – «Avevo 24 anni, fu dura»), e poi un secondo matrimonio con Enoe Bonfanti, dalla quale ha avuto Mattia e Fiorenza.
L’anno scorso hai festeggiato 55 anni di nozze. «Non l’ho mai tradita. Certo, talvolta, ho diversificato». So che hai corteggiato anche una dottoressa in sala operatoria. «Quando capisci che sei ancora vivo, un po’ ti ringalluzzisci». Fammi capire. «Con il sesso ho chiuso. Fatica tanta, piacere poco, senza considerare che in certe posizioni, alla mia età, ti senti ridicolo. Poi, sai: organizzare un diversivo, portarla a cena, trovare il posto, richiede tempo. Preferisco leggere un giornale». Il primo che apri? «Il Corriere. I giornalisti italiani si dividono in due categorie: quelli che ci lavorano, e quelli che vorrebbero lavorarci». Parlami dei migliori che hai conosciuto. «Montanelli, il numero uno. La Fallaci, intrattabile e geniale, mi travolse. Biagi, un po’ tracagnotto, era una forza della natura... Ricordo Bocca, anche se litigioso, e Pansa. Di Giampaolo mi piaceva molto lo stile. Sai, a me delle notizie non importa un fico secco, le so già. A me interessa come le racconti». Tra i viventi? «Cazzullo, bravissimo. Poi, boh. La De Gregorio è notevole, anche se mi scuote il sistema nervoso. Di Travaglio non condivido niente, però mi piace come lo scrive. Ci sarebbe pure mio figlio Mattia. Ma eviterei di citarlo, per buon gusto». Vai ancora a cavallo? «Ho smesso a 70 anni. La paura di cadere prevaleva sul piacere di montare. Gli animali sono la mia passione. Sai che i piccioni di Brera mi adorano? Quando sto lì a prendere l’aperitivo, dicono: oh, c’è Vittorio, scendiamo... Bada bene: gira voce che beva troppo. Invece: un bicchiere a pranzo, uno a cena. E un dito di whisky la sera. Per il resto: mangio poco, meno del mio gatto Ciccio». Ogni tanto ti scappa qualche tweet ruvido. «Provoco, soprattutto, i gay. Quelli abboccano, e io mi diverto». Rifaresti il titolo «Patata bollente» su Virginia Raggi? «Se apri qualsiasi vocabolario, trovi il vero significato: “Questione scottante”». Credi in Dio? «No». Come ti immagini l’aldilà? «Non esiste. Finisci sotto due metri di terra, e buonanotte». Come festeggerai, domani? «Ceno con sette parenti stretti». Faremo un’altra intervista per i 90 anni. «Nel frattempo scrivete, scrivi più che puoi: scrivere è come vivere due volte».