Robinson, 24 giugno 2023
Donne umoriste dell’Ottocento
«Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re; e Franti rise», scrive Edmondo De Amicis in Cuore, e quel ragazzino marginale e povero che delle disgrazie e perfino della morte dei potenti si fa beffe diventa, nel 1962, oggetto di uno dei più brillanti e conosciuti scritti di Umberto Eco,Elogio di Franti. Paragonandolo a Panurge e richiamandosi a una frase di Baudelaire («Il riso è satanico: è dunque profondamente umano»), Eco tesse intorno a Franti un elogio della risata come avamposto di resistenza alla retorica civile e alla melassa istituzionale, come fuoriuscita sghemba, storta e necessaria da un mondo di valori appiccicaticci e schemi asfittici. E, se come scrive Eco, la risata disobbediente non può che venire dal margine, pensate quanto riscattatoria, violenta e necessaria sia stata la risata delle donne nel sottrarsi ai ruoli familiari e convenzionali e nel prendere parola per raccontare da sé la propria verità.In letteratura, le scrittrici hanno sempre dovuto vedersela con chi ha cercato di tingerle sempre di rosa, l’unico genere loro concesso, ma anche con la cannibalizzazione delle loro stesse vite saccheggiate quasi sempre da voci maschili. Quasi: Humoursex. Pratiche di umorismo nelle scrittrici di fine Ottocento è una deliziosa raccolta di racconti curata da Maria Vittoria Vittori, studiosa e critica, appena uscita per i tipi di 8otto, casa editrice indipendente nata con l’obiettivo di proporre sguardi meno consueti sulla letteratura attraverso riscoperte che riscrivono i canoni su cui ci siamo adagiati. Spazio quindi a chi ha sperimentato e osato nel passato europeo più recente, ma anche a chi è finito nell’oblio senza venire mai considerato unità di misura. Mandate in soffitta Madame Bovary, avverte quest’antologia, dimenticate i cliché sull’amore languido, i sospiri e le crinoline, perché a un certo punto del secolo romantico qualcuno, anzi qualcuna, ha deciso che dell’amore si poteva ridere, che il corteggiamento si poteva sbeffeggiare, che del matrimonio era interessante l’adulterio. Erano scrittrici e giornaliste mondane che facevano sentire la propria voce sulle riviste, che militavano ed erano femministe o semplicemente libere, che rivendicavano percorsi di emancipazione e denunciavano brutte abitudini e vecchi ruoli da mandare in soffitta: Regina di Luanto, Marchesa Colombi, Contessa Lara, Annie Vivanti,Térésah, Amalia Guglielminetti. Nelle loro biografie compaiono padri, amici, amanti e mariti illustri, cui sono state legate da rapporti intensi e controversi ma che troppo spesso sono stati associati a loro come a doverne confermare la credibilità, come se queste letterate, grandiose e popolari, avessero bisogno per essere ricordate di un’autorevolezza esterna, maschile. Le loro vite, però, ci raccontano anche altre storie. Evelina Cattermole Mancini, narratrice e poetessa che scelse per sé lo pseudonimo byroniano di Contessa Lara, fu assassinata dal compagno che aveva denunciato per violenza, e che le sparò un colpo di pistola il 30 novembre 1896. Nel suo racconto, La vigilia, si narra l’ultima notte prima di un matrimonio, sia dalla prospettivadi lei che da quella di lui: mentre l’uomo pensa a salutare le amanti e a sistemare le cose in modo che formalmente non gli si possa rimproverare nulla, provvede quindi a costruirsi la maschera del tutto superficiale di futuro buon marito e padre, lei si tormenta per la vita che non ha vissuto e quella che non vivrà, per non aver scelto nulla del suo destino, per non avere avuto occasioni di conoscenza e intimità con l’uomo con cui dovrà condividere l’esistenza: «Ben che la missione della donna sia d’esser sposa e madre, il principio fondamentale d’una buona educazione è di non lasciar supporre a una giovinetta né i doveri della moglie, né il mistero della maternità», nessuno si occupa dell’educazione delle ragazze. L’ironia qui è corrosiva, tutta rivolta alla società, a convenzioni soffocanti, disumane. Del tutto diverso da questo riso amaro è quello squillante che apre il racconto di Regina Di Luanto, al secolo Guendalina Roti, altra autrice anticonformista sia nella scrittura che nella vita (si era separata dal marito che non la capiva e non la appoggiava). L’autrice mette in forma dialogica una vera e propria disputatio sull’amor romantico, difeso da un uomo e irriso da una donna che con acuta intelligenza ne dimostra ipocrisie e contraddizioni. E quando il suo interlocutore, sopraffatto, tenta l’ultima carta, quella del vigore sessuale maschile, Donna Valentina, protagonista diBotta e risposta, ha la risposta pronta: «ma per codesto», chiude squadrandolo con un certo disprezzo, «preferirei il mio cocchiere!». Perché, quando scrivono le donne, non solo si può scegliere di non essere Madame Bovary, ma si può anche decidere di indossare i panni di Lady Chatterley con spavalda ironia.