la Repubblica, 23 giugno 2023
Parla il direttore d’orchestra Iván Fischer
Si apre stasera con un concerto in Piazza Duomo la 66esima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto: il direttore ceco Jakub Hr?ša guiderà l’orchestra di Santa Cecilia in un programma votato per intero al compositore d’inizio Novecento Leoš Janá?ek, connazionale di Hr?ša, il quale conosce a fondo il repertorio della sua terra. La manifestazione spoletina, irrinunciabile e solida nei decenni, proseguirà fino al 9 luglio declinando tradizione e slanci contemporanei. Vi s’intrecciano musica, teatro e danza, e sono due le orchestre in residenza: oltre a Santa Cecilia, che a Spoleto suonerà pure con Pappano (a lui spetta il concerto di chiusura), c’è la Budapest Festival Orchestra condotta dall’ungherese Iván Fischer (1951). Nella produzione dell’opera Pelléas et Mélisande di Claude Debussy, che debutta domani al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti segnando il ritorno della lirica a Spoleto (vi mancava dal 2019), Fischer è impegnato sia come direttore sia come regista (firma lo spettacolo con Marco Gandini).
I costumi sono di Anna Biagiotti e le scene di Andrea Tocchio. Cantano Bernard Richter e Patricia Petibon nei ruoli dei due innamorati che danno il titolo a quest’opera squisita e rarefatta, edificata sul dramma omonimo di Maurice Maeterlinck e nata sulle scene a Parigi nel 1902.
«È un capolavoro di beltà misteriosa», spiega Fischer, fondatore e direttore della Budapest Festival Orchestra, che è un organico vitalissimo e originale, celebrato internazionalmente grazie al suo approccio innovativo al fare musica e alla dedizione senza riserve dei suoi elementi. Campione del podio assai applaudito nel mondo, Fischer modella con sensibilità e sapienza, in base a un’intesa totalizzante coi musicisti della BFA, progetti che fondono musica e teatro in un unico corpus spettacolare, come aspetti costitutivi dell’evento amalgamati fra loro. Perciò considera necessario curare la regia degli allestimenti che governa dal podio. Dopo la première a Spoleto, il suoPelléas sarà visto e ascoltato a Budapest, Amburgo e Vicenza.
Maestro, come interpreta questo lavoro di massima evanescenza composto da Debussy?
«Mi affascina la forma rivoluzionaria di quest’opera simbolista dove le scene emergono dagli interludi orchestrali, che connettono ogni scena alla precedente. I personaggi tendono a non svelarsi mai completamente e le loro frasi evitano gli sfoggi magniloquenti dei sentimenti. D’altra parte è un’opera tutta basata sui sentimenti, enunciati in maniera musicalmentelimpida. Debussy crea una dimensione poetica e sognante che non è mai soffocata da una forma musicale sovraccarica. Racconta l’incontro tra Pelléas e Mélisande, simili in quanto entrambi tendenzialmente autistici. Si ritrovano per le loro forti affinità all’interno di una trama che sul versante narrativo è minima e sfuggente. “Pelléas e Mélisande” è più che altro una vicenda emozionale e una pièce di conversazione».
Conversazione in che senso?
«La lingua evocativa si prolunga nella musica e le figure del dramma“cercano di cantare come persone naturali”, scrisse Debussy, “e non in un linguaggio arbitrario”. Il canto “parlante” di Debussy ha aperto la strada ad autori come Janá?ek e Bartók, che hanno restituito naturalezza all’espressione vocale degli interpreti».
A quali esiti porta la speciale concezione di “Pelléas et Mélisande” dal punto di vista della messinscena?
«Al fatto che il teatro scaturisce direttamente dalla musica, nel segno di una nuova forma d’arte dove il legame tra la parte acustica e quella visuale è potente e imprescindibile.
La mia orchestra quindi non sta in buca ma sul palcoscenico, al centro dell’esecuzione. L’orchestra diventa un bosco di musica e un labirinto dell’inconscio in cui Mélisande arriva a smarrire l’anima. Con l’umana concretezza dei suoi membri, l’orchestra rappresenta l’ambiente inquietante in cui si sviluppa il dramma psicologico. Inoltre i musicisti della Budapest Festival Orchestra, che è molto di più di un “normale” ensemble, canteranno come un coro, nella prospettiva di un coinvolgimento scenico assoluto. Ho messo a fuoco questo stile di combinazione tra musica e teatrolavorando al Teatro Olimpico di Vicenza, dove nel 2018 ho fondato il Vicenza Opera Festival. Anche con Spoleto c’è una collaborazione continuativa: ho cominciato a dirigere qui nel 2021 e nel ‘24 vi presenterò Ariadne auf Naxos di Richard Strauss. Quest’anno ci sarà anche un intervento di musicisti della BFA nella spoletina Piazza del Mercato: suoneranno pezzi folk e jazz. L’idea di offrire musica alla comunità è uno dei princìpi-chiave dell’identità della BFO e per esempio a Budapest, durante il lockdown, piccoli gruppi di orchestrali andavano a esibirsi nei cortili delle case».
Lei avrà un altro importante appuntamento in Italia: a Roma in ottobre dirigerà l’inaugurazione della stagione sinfonica di Santa Cecilia.
«Farò la Trilogia di Ottorino Respighi, una delle testimonianze meravigliose della ricchezza della vostra arte. La formano Fontane di Roma , Pini di Roma eFeste romane . Il programma della serata include pureO Roma Nobilis eDall’Alma Roma di Franz Liszt, cultoreappassionato della Città Eterna in cui visse alcuni anni».
Cosa ama di più del suo mestiere e cosa non le piace?
«Odio la direzione d’orchestra nel momento in cui è asservita al carrierismo e allo star-system. È un pericolo che per fortuna io non corro. Ciò a cui credo maggiormente, nel mio lavoro, è la responsabilità morale che il leader dell’orchestra deve mantenere nei confronti del pubblico».