La Stampa, 23 giugno 2023
Parla Ferdinando Scianna
«Tante volte ho sentito dire ai contadini: la mia vita è un romanzo. Ed è vero, ogni vita lo è. In definitiva, lo scrittore è uno che racconta le storie degli altri, ma nel farlo scrive anche la propria. Credo che per un fotografo valga lo stesso. Perciò il libro a cui sto lavorando proporrà foto di 16 Paesi, ma sarà anche un modo per raccontare che, dovunque sia stato, ho continuato a cercare la memoria dell’isola che ho vissuto da bambino». Il rapporto con la Sicilia è complesso e difficilmente spiegabile a un non siciliano. Eppure, nel lavoro di Ferdinando Scianna, emerge chiaramente. Lo sanno bene i curatori della mostra “Ti ricordo, Sicilia”, visitabile da oggi fino al 20 ottobre presso il Castello Ursino di Catania. Un concentrato di ricordi: 80 foto, come gli anni da compiere il prossimo 4 luglio, che Scianna ci regala e che ci aiutano a capire meglio la complessità dell’isola plurale definita da Gesualdo Bufalino. «Quel mondo contadino – racconta mentre osserviamo uno scatto della sua Bagheria negli anni Sessanta – era la struttura della mia identità, della mia personalità. La luce, l’ombra, la pasta con le sarde, i ricci, quel particolare rapporto con gli amici, così affascinante al punto da poter scivolare verso la cosca. Qualcosa di molto peculiare, dal quale si fugge persino, ma di cui non puoi fare a meno tutta la vita e che continui a cercare nella memoria dovunque tu vada». Ma la Sicilia raccontata da Scianna è anche quella dove sacro e profano si incontrano. Così non si può non rimanere attoniti davanti allo scatto realizzato a Tre Castagni nel 1963 in occasione della Festa di Sant’Alfio, Cirino e Filadelfo. Uno dei lavori poi confluiti nel volume “Feste religiose in Sicilia”, uscito nel 1965 e il primo firmato con Leonardo Sciascia. «A ripensarci oggi sembra incredibile: sono passati 57 anni, allora ero mostruosamente ignorante eppure quelle foto stanno in piedi ancora oggi e mi domando chi le abbia scattate. Forse le ha fatte la gioventù, la passione, l’intuizione istintiva che un mondo che era durato uguale a se stesso per secoli sarebbe stato portato via come il fumo in un giorno di vento». Una testimonianza di un passaggio epocale, insomma, che all’epoca della pubblicazione destò non poche polemiche. «Fortunato Pasqualino, che aveva stroncato il volume su L’Osservatore Romano, disse che ero stato subornato da Sciascia e che la mia attività era quella di un artista il quale, in quanto tale, vede nella realtà cose che non ci sono. Con l’irruenza dei ragazzi gli risposi: artista sarà lei. E ho continuato per 50 anni». Come appellare allora Ferdinando Scianna? «Se mi chiami un’altra volta maestro, vado via» tuona tra il serio e il faceto. Senz’altro quella di Reporter è una definizione che lo soddisfa. «Poco dopo essermi trasferito a Milano fui assunto a L’Europeo. Volevo fare il reporter ma non avevo esperienza: ebbi modo di imparare sul campo andando in giro con i giornalisti. Henri Cartier-Bresson era il mito e non avrei immaginato che alcuni anni dopo, mentre ero corrispondente a Parigi, il nostro incontro sarebbe diventato un’amicizia. A lui devo molto e se a un certo punto, dopo dieci anni nella capitale francese, non mi avesse chiesto di presentare la candidatura a Magnum, non lo avrei mai fatto». In seguito, il rientro a Milano da freelance ha segnato per lui un modo nuovo di approcciare il lavoro. Dolce e Gabbana, allora poco conosciuti, avevano visto delle sue foto della Sicilia e desideravano fare un catalogo con qualcuno che non fosse un fotografo di moda. Era scettico, ma raccolse la sfida e la visse da reporter, inserendo la modella nel contesto della vita. Ed eccola lì, Marpessa Hennink, giganteggiare in un ritratto a grande formato al centro della sala, oppure seduta sulla scalinata di una chiesa con due bambine. «In quel periodo capii che sebbene Cartier-Bresson dicesse che il fotografo doveva essere invisibile, mentre io in quel caso costruivo gli scatti, le foto sono sempre trovate. Per cui oggi non faccio più distinzione e questa mostra lo testimonia». L’ultima parte dell’allestimento è una parete dedicata all’amico di sempre, Leonardo Sciascia. E quando parla di lui Scianna non riesce a non commuoversi. «Non l’ho mai fotografato professionalmente e tutte le foto che gli ho fatto in 26 anni sono album di famiglia: al compleanno delle mie figlie, a casa sua, in viaggio insieme. Da 30 anni cerco di fare un libro su Sciascia, che a un certo punto ho addirittura finito. Ma poi l’ho trovato troppo povero in rapporto alla ricchezza del nostro rapporto. Forse un giorno lo pubblicherò oppure lo farà qualcun altro dopo che sarò morto. Intanto però non potevo organizzare una mostra sulla Sicilia senza parlare di lui».