il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2023
Una storia culturale dei capelli
S ono sempre lì, “all’apice del corpo, il primo dettaglio che di noi offriamo al mondo”. Un’epopea altamente capillare. Il titolo è petrarchiano (All’aria sparsi), mentre il sottotitolo recita “Storia culturale dei capelli”. Un saggio appassionato ed erudito uscito per Il Saggiatore, ricco di rimandi e suggestioni a spasso nel tempo.
“Quando i capelli sono diventati il centro della mia vita facevo l’inviata alla 69esima edizione del Festival di Sanremo, dove Loredana Bertè affascinava il palco dell’Ariston con la sua chioma blu elettrico – scrive l’autrice Elena Martelli –. Vedendola pensavo ai miei capelli lunghi, biondi; pensavo che dopo quella settimana avrei iniziato una terapia oncologica e li avrei persi. Avevo già acquistato la parrucca”. Vita, morte, religione, potere, trascendenza, erotismo e rapporto tra i sessi. Tutto si è pettinato o spettinato attraverso loro. Sono la quintessenza del linguaggio non verbale, un dispositivo simbolico perfetto. “Non c’è capello che non abbia una storia da raccontare. Dalla nascita dell’Homo sapiens alla costruzione dell’immaginario cyberpunk, le nostre chiome sono state il codice per leggere le più diverse identità, i mutamenti più complessi delle nostre società e della realtà”. Tricofili o tricofobici, tanto pelo o poco pelo, qui sta il busillis.
Si parte dalla notte dei bulbi piliferi, la “grande testa cespugliosa” dei nostri antenati. E non che il progresso sia stato lineare: pensiamo ai regimi teocratici che tuttora impongono alle donne di coprirsi il capo e indossare il velo (o il burka), dall’Afghanistan dei talebani alla polizia morale iraniana. Nell’antichità greco-romana i capelli rappresentano “il legame tra l’uomo e l’universo, il visibile e l’invisibile”. La dea Proserpina, negli inferi, “decreta la morte dei morenti tagliando loro” le ciocche. Rifulge da millenni una stella, la “Chioma di Berenice”: gli dei gradirono a tal punto il suo sacrificio sentimentale da cristallizzarne la treccia votiva in cielo. Dagli atzechi agli spartani, l’iconografia classica deborda di capelli lunghi e fluenti, “espressione immediata della grandezza del guerriero”.
Peli e capelli ossessionano i padri della Chiesa. “Fedeli, pregate a testa nuda” esorta San Paolo nella sua Lettera ai Corinzi. La tonsura, una rinuncia mistica, “caratterizza buona parte del monachesimo sia occidentale che orientale”. Bando alla trasgressione individuale, alle chiome ascetiche e “abbondanti lasciate a sé stesse degli anacoreti erranti”. Nelle miniature medievali le “possedute”, “vittime o emissarie di Satana, sono sempre donne dai capelli arruffati”. I diavoli si invaghirebbero dei loro capelli: troppo belli, “provocano e infiammano veementemente la libidine”. Prove generali della caccia alle streghe dell’Inquisizione.
La moda della allonge, la parrucca piena di boccoli, è lanciata dal Re Sole, lui che era rimasto calvo da bambino. Segue, subito dopo la Rivoluzione, la prima acconciatura unisex dell’umanità, “à la Titus”. Bisogna attendere lo stile “à la garconne” degli anni Venti del Novecento per un abbrivio altrettanto radicale: zazzere corte per le donne per dire no ai matrimoni senza amore e alla subalternità forzata. Coco Chanel, Édith Piaf, Josephine Baker. Ecco il bob-cut o bob (il futuro caschetto delle nostre Caterina Caselli e Raffaella Carrà), sfoggiato dalla diva del muto Louise Brooks e rivendicato dal coiffure de dames Monsieur Antoine.
Il primo ferro asciugacapelli (1872) e i primi rudimentali phon; la nascita, nel 1905, della permanente. Tutto il potere alle bionde-platino formato Hollywood: Marilyn Monroe e le altre. Brigitte Bardot, con la sua frangia. Mèches for all. Il bouffant di Jackie Kennedy e il taglio shag, scalato e gender fluid di Jane Fonda e David Bowie. La medietà dei capelli a spazzola importati dagli americani nel dopoguerra, “una delle acconciature meno eccitanti di tutti i tempi”. Quei capelloni degli hippies e le capigliature afro, “ritmo e consapevolezza”. Le creste nichiliste del punk. Le teste rasate, contraltare necessario. Quelle degli schiavi, dei prigionieri e della disperazione di Britney Spears.
Nel IV secolo d. C. Sinesio di Ricene aveva composto L’elogio della calvizie. Domiziano? “Un Nerone calvo”. La corona di Cesare? “Serviva a dissimulare la pelata”. “I capelli sono espressione biologica e insieme evento culturale – sostiene Martelli –. Fatti di materia, trasudano spirito. Fatti di corpo, ne esprimono l’anima”.