il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2023
Il “Metoo” accusa i pubblicitari: molestie, stupri e insabbiamenti
Per una curiosa coincidenza, proprio mentre a Cannes si svolge il consueto Festival della creatività con il mondo della pubblicità al gran completo, in Italia si sta assistendo all’alba di quello che potrebbe trasformarsi in un MeToo dell’adv nazionale. Nelle ultime settimane infatti, sui social si è assistito a una vera e propria valanga di accuse nei confronti di un mondo – quello delle agenzie pubblicitarie – in cui da anni avverrebbero molestie, forme di vessazioni fisiche e psicologiche, logiche da branco e perfino violenza sessuale.
We are social, un’agenzia relativamente giovane con clienti importanti, da Vodafone a Netflix, è finita nel mirino fin da subito perché, come raccontato ieri da un testimone sul Fatto, all’interno dell’agenzia esisteva una chat con 80 dipendenti uomini che commentavano le colleghe con un linguaggio violento, degradante e sessista. Ieri mattina Ottavio Nava, Co-founder e Ceo dell’agenzia, ha annunciato l’auto-sospensione di We are social: “Abbiamo deciso, pur con rammarico, di autosospendere il ruolo della nostra agenzia e la mia carica di consigliere all’interno di UNA. Come già ribadito pubblicamente, We Are Social condanna qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati. Come azienda nel corso degli ultimi anni abbiamo messo in atto numerose iniziative affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto. Visti i nuovi elementi emersi abbiamo definito ulteriori azioni, tra cui un’indagine affidata a un ente terzo”. Fino a ora i piani alti di We are social erano stati decisamente poco social, trincerandosi dietro un silenzio imbarazzato e poche imbarazzanti dichiarazioni. Alessandro Sciarpelletti di We are social ieri ha annunciato le sue dimissioni dall’Adci, l’Art directors club italiano, affermando che la priorità è indagare sulle gravi questioni su cui si dibatte in questi giorni. Ed è buffo, perché proprio lui, quando il pubblicitario Massimo Guastini ha iniziato a parlare di molestie sui social, ha scritto in privato a quest’ultimo: “Oggi ricorre il quarantesimo anniversario dell’arresto di Enzo Tortora, valuti lei”. Come a dire: state mettendo alla gogna degli innocenti. E qui viene da chiedersi come sia possibile che dei comunicatori di professione stiano comunicando così male, compreso proprio il Ceo Nava secondo il quale, appunto, “come azienda nel corso degli ultimi anni abbiamo messo in atto numerose iniziative affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto”. L’esistenza di quella chat, ai tempi, dopo la denuncia di alcune dipendenti fu, in agenzia, un tema di discussione e venne risolto in fretta e furia con la sua chiusura. Nessuno pensò di individuare i principali responsabili, di avviare un’indagine interna, di affrontarla come un fatto grave anziché come un fatto da insabbiare il più velocemente possibile.
Non solo. Se ci si fosse limitati a non fare nulla sarebbe solo un fatto molto serio. E invece è accaduto di peggio. Alcuni dei più assidui commentatori di quella chat nel tempo hanno fatto carriera, per esempio Matteo Starri che è Research & Insights Director in We Are Social. Alessandro Sciarpelletti, l’Enzo Tortora (!) che si è auto-sospeso solo ieri dal consiglio direttivo di Adci, è anche lui stato promosso in We are social e – qui il paradosso – l’anno scorso faceva parte della giuria del premio Equal agli Adci Awards, ovvero i premi per le campagne contro discriminazioni e violenze. Pietro Zambetti, ai tempi in We are social e oggi impiegato in un’altra azienda (tra quelli accusati di aver fatto parte della chat e di essere stato tra i più “duri” nel mortificare le dipendenti), raggiunto da me al telefono ha risposto: “Sto facendo jogging. Sono molto dispiaciuto, io ho un altro punto di vista su questa cosa. Non è successo quello che si racconta, sto parlando con i miei avvocati, non voglio rilasciare dichiarazioni”. Insomma, they were social.