il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2023
Ritratto al veleno di Adriano Galliani
Sembra Teo Teocoli travestito da zio Fester della Famiglia Addams. Invece è Adriano Galliani. Già pronto a rimettere gli scarpini da senatore. Nel Senato vero, per volontà degli Eredi: “A richiesta, obbedisco!”. Lo fa nonostante si consideri, per sua stessa ammissione, “un bimbo”. Mai cresciuto più dei suoi sei anni, sebbene quelli veri siano 79, imbambolato davanti alla prima partita di calcio vista dal vivo, stadio di Monza, anno 1950, in compagnia della sua mamma. E da quella domenica pomeriggio per sempre. Tutta la vita futura a rotolargli davanti come fa la palla verso la rete, che nel suo caso è il villone di Arcore, sala da pranzo con il tris di risotto. Anno 1979. A capotavola il suo destino che da quel giorno in poi ha abitato dentro al sorriso smagliante del padrone di casa, Silvio Berlusconi, e dei suoi multipli danè. Rotolati anche loro fino all’ultimo giorno disponibile, prima fabbricando le 1700 antenne piazzate sui 1700 cocuzzoli dall’Alpe all’Appennino, comprati per illuminare le tre televisioni (illegali) della Fininvest: “Che anni magnifici furono!”.
Poi per cavalcare i 31 anni d’oro del Milan, 1986-2017, otto scudetti, cinque Coppe dei campioni, 17 Coppe minori: “Che anni magnifici furono!”. Anche al netto di qualche inciampo nella cronaca giudiziaria per miliardi di lire e milioni di euro dribblati al fisco, traffico di attaccanti come Lentini, sovrafatturazioni, falsi in bilancio e altri accidenti. Tutto condonato, prescritto, depenalizzato, amnistiato. Abbiamo scherzato, ci mancherebbe. Non solo perché il suo presidente le leggi le ha cambiate direttamente con gli avvocati e i camerieri in Parlamento, ma anche perché, mettetevi una mano sulla coscienza, di cosa è mai imputabile un bimbo di sei anni? Uno che crede in dio e in Marco Van Basten (dixit), ma ubbidisce a una sola legge, quella del Presidente. E lo dice: “Il Presidente è l’uomo più buono che abbia mai conosciuto. Il Presidente ha sempre ragione. Le parole del Presidente sono sacre e non si commentano. Mai”.
Il povero bimbo non nasce povero. E ricchissimo diventerà. Il babbo fa il segretario al Comune di Monza. La mamma ha una piccola ditta di trasporti. È lei quella del primo calcio al pallone. È lei quella che porta la Gazzetta dello Sport in casa. Dirà Adriano: “Ho imparato a leggere sulla Rosea”. Il Monza gioca in Serie C. Lui va tutti i giorni a vedere gli allenamenti: “Pensavo al Monza 24 ore al giorno”. In subordine tifa Juventus – “in Brianza si usa così” – e studia da geometra. La madre muore giovane. Lui eredita dal padre un posto fisso in Comune e il voto alla Democrazia cristiana. Per arrotondare vende citofoni. Poi antenne della Elettronica Industriale, ditta di un tale Ottorino Barbuti che fabbrica cavi. Nel 1975 Galliani racconta di essersi ipotecato l’appartamento per comprarsela. Gli frulla l’idea di illuminare le nascenti tv locali. Va da Rizzoli che non capisce l’affare. Va da Mondadori che non lo ascolta. Va da Rusconi che non lo riceve. Gli resta il Dottore che ha appena acceso la sua Telemilano per gli inquilini di Milano Due il quartiere che non è un quartiere, “ma un modo di abitare”. Il Dottore lo invita a cena. Racconta: “Quando mi chiese come la pensavo in politica, gli dissi: “Mio padre mi ha insegnato che i comunisti mangiano i bambini. Mi sono fermato lì”. Ingaggiato al volo. E poi la domanda delle cento pistole: “Lei saprebbe illuminarmi tre reti su territorio nazionale?”
Risposta: “Tre reti? Ma è proibito dalla legge”.
“E allora? Lei faccia il tecnico. Io penso alle strategie”.
La strategia è tre reti private contro tre reti Rai. Per farlo occorre simulare la diretta televisiva spedendo le cassette in ogni Regione e sincronizzando la messa in onda. L’obiettivo è incassare la pubblicità nazionale. È un reato, ma è anche l’uovo di Colombo. Con il vantaggio supplementare di offrire la potenza di fuoco a Bettino Craxi, astro nascente dell’Italia da bere, e incassare la sua protezione politica contro i soliti pretori ficcanaso.
L’operazione riesce. Per Galliani il Presidente non è un bandito, “ma un visionario”. E lo è anche per il VI governo Andreotti che con un blitz notturno, il primo giorno di agosto del 1990, approva con voto segreto la celebre legge Mammì sul riordino delle frequenze tv, detta legge Polaroid, perché fotografa il duopolio esistente, con tutti i vantaggi per le reti Fininvest nascenti e lo status quo per quelle telemorenti della Rai.
Seguono inchieste, specie nei giorni di Mani Pulite, per traffici tra Fininvest e il ministero delle Poste. Indagato tutto lo stato maggiore: Galliani, Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Giancarlo Foscale, Dell’Utri. Otto anni di carte, qualche arresto, compreso un tale Davide Giacalone, braccio destro del ministro Mammì, che la legge l’ha scritta e che, subito dopo, diventerà consulente della Fininvest con ingaggio da 600 milioni di lire. Poi tutto passa in cavalleria, cioè alla Procura di Roma, con Renato Squillante regnante e l’avvocato Cesare Previti a benedire: la bella coppia del futuro Lodo Mondadori.
Più o meno stessa sorte per le molte inchieste aperte, trascinate e chiuse nella stagione del Milan che inizia fragorosamente nell’anno 1986, quando Berlusconi, che in realtà vorrebbe comprare l’Inter, incassa la squadra e i debiti di Giussy Farina, quello della Lanerossi. Dichiara Berlusconi: “Impiegheremo la nostra esperienza nella tv commerciale per esaltare l’immagine del Milan”. L’identico sparito che userà otto anni dopo per lanciare il partito, ma nessuno impara la lezione.
Si scopre che il più milanista di tutti è proprio il bimbo Galliani, icona psico sportiva che ogni domenica, mani al cielo e cravatta gialla al vento, freme, soffre, esulta, sviene a ogni goal di Gullit, Weah, Shevchenko, Kaká. Per due dozzine d’anni – salvo il guaio di Calciopoli e la ruggine con Barbara B. – plenipotenziario della Lega Calcio e del calciomercato, detto il Condor, per come plana sulle stelle della pedata, con scia sempre milionaria e confessione standard: “Penso al Milan 24 ore al giorno”. Almeno fino a quando il Presidente vende la squadra ai cinesi, anno 2017. E per consolazione, l’anno dopo, offre al suo adepto un giro di giostra in Senato. Finalmente arrivano i supplementari quando l’ultimissimo Berlusca decide di comprare il Monza per lanciarlo in stile cene eleganti: “Se vincete, vi prometto un pullman di troie!”. Galliani ride: “Le parole del Presidente sono sacre”.