La Stampa, 22 giugno 2023
I segreti su Emanuela Orlandi
A quarant’anni dalla scomparsa, il tridente su Emanuela Orlandi è già spuntato. Inchiesta del vaticano, commissione parlamentare d’inchiesta e nuova indagine della procura di Roma dovevano assestare un colpo micidiale a chi depista, insabbia e manomette la verità per consegnare a noi tutti, finalmente, i sigilli su una delle storie più tormentate del nostro Paese. Invece, la creazione della commissione è finita nella melina e nelle sabbie mobili della politica con una parte trasversale delle Camere che non ne vede e apprezza necessità e urgenza. L’indagine del promotore della giustizia Alessandro Diddi subisce scossoni, polemiche, attacchi e diffidenze tra lo stesso e i familiari della ragazza. Rimane in piedi la nuova inchiesta della procura di Roma. Il sostituto Stefano Luciani lavora sottotraccia. Ha imposto ai suoi investigatori il riserbo, indispensabile per evitare il puntuale affondamento patito ogni qualvolta che si è tentato di accendere una lampadina sulla fine di Emanuela. Aldilà dell’ottimismo, c’è però da chiedersi se i magistrati di piazzale Clodio riusciranno davvero a segnare qualche risultato, essendo ormai questa la terza indagine avviata a Roma e dopo che per decenni si è scandagliato ogni possibile filone, passato al setaccio ogni indizio.
Certo, quando l’allora procuratore di Roma chiese e ottenne l’archiviazione, il suo aggiunto Giancarlo Capaldo voleva proseguire negli approfondimenti, a iniziare da quelli sul controverso Marco Accetti – misterioso testimone affacciatosi nell’ultimo anno di investigazioni – ma è un fatto che i tasselli mancanti andrebbero cercati soprattutto oltre le mura leonine. Ed è per questo che sia il filone penale di Diddi, sia la commissione parlamentare potevano rompere i cardini della porta della menzogna. Invece, quando il promotore di giustizia ha mosso rilievi sull’opportunità che la nostra politica si occupi del caso, arrivando a dire che «la commissione d’inchiesta sarebbe un’intromissione», nessuno ha detto niente. È stato il libera tutti. Nessuno ha stigmatizzato le parole politiche di questo «magistrato». Nessuno ha pesato l’intromissione sua nelle scelte del nostro Parlamento sovrano su un sequestro di persona avvenuto – si ricorda – in Italia. Nessuno, ancora, ha solo ricordato che per quarant’anni il vaticano è stato passivo su questa vicenda non avviando nessuna indagine, almeno formale, sulla sparizione di una sua cittadina. Niente di tutto questo. Anzi, le parole di Diddi sembrano deflagrare ed essere accolte. Se prima l’indagine raccoglieva i favori di tutti, l’idea di formare la commissione in tempi brevi con ampi poteri investigativi, oggi è tutto un distinguo, un rinvio su rinvio, con l’escussione preventiva per apprezzarne la necessità. A cogliere, invece, la valenza strategica di dare risposte e chiudere questo capitolo era stato proprio Francesco che aveva sollecitato tutti a investigare. L’anniversario dei quarant’anni dalla scomparsa poteva essere un’ottima coincidenza per sciogliere il mistero e tagliare il traguardo della verità. La recente docufiction Vatican Girl aveva sollecitato domande e inquietudini dagli episcopati più lontani, il rischio che questa storia del passato venisse usata strumentalmente contro l’attuale pontefice indispettiva il gesuita di santa Marta. Ma sembra trovarsi ora di fronte a un fuoco di paglia. Complici nella frenata sono state sicuramente certe intercettazioni su un possibile ruolo di Giovanni Paolo II, stando almeno alle chiacchiere tra personaggi vicini alla banda della Magliana. Testi diffusi tempo fa ma riattualizzati ed enfatizzati tanto da impaurire tanti, troppi. Che Wojtyla possa aver saputo e avuto addirittura un ruolo sembra e rimane lunare e calunnioso fino a prova contrario ma solo la mera ipotesi ha offerto il potenziale esplosivo che questa ricerca di verità racchiude. Qualcuno deve aver strumentalizzato le intercettazioni per terrorizzare in modo da lasciare tutto ancora sospeso. Adesso bisognerà capire cosa accadrà domenica all’Angelus delle 12, la famiglia Orlandi ha annunciato un sit in che andrà poi a confluire in piazza san Pietro. Si tratta di vedere se il Papa farà cenno all’anniversario o se, invece, ignorerà la questione. Di certo, i rapporti sono ai minimi termini, mai così bassi come in passato: Bergoglio, nel suo recente viaggio in Ungheria, è intervenuto contro Pietro Orlandi, sostenendo che il fratello disse una «cretinata» quando in televisione insinuò che Wojtyla da Pontefice poteva esser uscito dal vaticano per andare a qualche festino («non andava di certo a benedire le case, lo sanno tutti»). Orlandi la considerava come ipotesi ma il danno era fatto, Giovanni Paolo II è santo. Il gelo ha raffreddato gli entusiasmi di tutti e riaperto gli scontri. Ed è un peccato perché sembrava essere arrivata l’ora della verità dopo anni di falsi testimoni, mitomani, ex agenti dei servizi segreti, millantatori e faccendieri.
Da troppi anni questa storia è ostaggio di chi la usa per pubblicità, per visibilità, per ricattare, per lanciare oscuri messaggi, per esercitare pressioni contro settori dello stesso vaticano o nel sottobosco criminale della capitale. In mezzo, esasperati, i familiari di Emanuela, ergastolani innocenti che hanno dedicato la loro esistenza a capire come questa ragazza sia sparita nel nulla. La pista a sfondo sessuale sembra quella rimasta con più elementi indiziari a conforto rispetto alla pioggia di menzogne caduta in questi decenni. Anche perché in quel periodo sparì una mezza dozzina di ragazze per altrettanti casi tutti irrisolti. Ma la parola fine, la parola giustizia probabilmente non la scriveremo né noi, né i nostri figli ne i nostri nipoti.