il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2023
Putin e Stavrogin
Le guerre, anche quelle moderne, con l’utilizzo di droni kamikaze, di missili, di supersonici, che tolgono alla guerra, oltre alla sua dimensione epica anche quella etica, alla fine vengono vinte dalla fanteria. La guerra delle Falkland o Malvinas (las islas Malvinas son argentinas) del 1982, dove pure gli inglesi usarono gli Exocet con i quali affondarono l’incrociatore argentino Belgrano, fu decisa dalla fanteria inglese. Nell’ultima isola ancora in mano agli argentini c’era un nido di mitragliatrici che sembrava insuperabile. I soldati inglesi che gli stavano di fronte si sentivano impotenti. Allora il loro comandante uscì dalla trincea, allo scoperto, trascinando in tal modo i suoi uomini alla conquista. Lui ne uscirà ferito in modo grave, ma gli inglesi conquisteranno quell’ultimo baluardo argentino ponendo così fine, di fatto, alla guerra. I russi sono 143 milioni, gli ucraini 43. Non è facile immaginare che gli ucraini, pur con tutto l’appoggio di armi e quattrini dell’intero Occidente, possano vincere la guerra a meno che gli occidentali scendano direttamente sul campo. Non vedo un italiano o un francese battersi sul campo, noi europei non lo facciamo dalla fine della Seconda guerra mondiale. E nemmeno un tedesco, a meno che non avesse lo spirito della Wehrmacht. Forse solo gli inglesi, come ci dice anche l’episodio della Guerra delle Falkland, hanno conservato questo spirito. Nelle guerre però contano anche, e molto, le motivazioni e le passioni dei combattenti. Altrimenti non si spiegherebbe come i talebani abbiano potuto sconfiggere e cacciare a pedate nel culo il più forte, il più numeroso, il più armato esercito del mondo, quale non si era mai visto nei tempi recenti, mentre gli straccioni talebani avevano solo kalashnikov, mitra e Jed. Certamente nell’attuale guerra gli ucraini sono molto più motivati dei pelandroni e ubriaconi russi (sia detto di passata, ogni volta che si parla della guerra russo-ucraina bisogna premettere che c’è un aggressore e un aggredito, distinzione che non si è mai fatta quando ad aggredire erano gli occidentali, in Serbia, in Iraq, in Libia). Ma con i russi bisogna stare attenti, per capire la loro anima, e quindi Putin e quindi anche la guerra, bisogna aver letto cinque volte i Karamazov, almeno quattro i Demoni e messo a fuoco le figure del principe Stavrogin, di Ivan Karamazov, di Alioscia, di padre Sergij (protagonista di un delizioso racconto di Tolstoj). I russi sono notoriamente ubriaconi, fannulloni, spendaccioni ma da un momento all’altro possono trasformare tutto questo in coraggio, senza che se ne veda alcuna ragione. Il personaggio del principe Stavrogin è il più significativo. Sfidato a duello da Gaganov, a cui qualche anno prima a San Pietroburgo aveva scopato la moglie, Stavrogin si profonde in mille scuse, ma Gaganov non vuole sentire ragioni. Nel duello alla pistola, fissato al terzo sangue, al primo colpo Gaganov ferisce leggermente Stavrogin a un dito. Stavrogin non si fa medicare e tira a casaccio. Gaganov a questo punto, sicuro di vincere, si porta in avanti fino al limite consentito, dodici passi. La mano gli trema perché l’indifferenza dell’avversario lo rende furioso e sbaglia mira. Stavrogin tira, in modo ancora più evidente, a casaccio. Gaganov è fuori di sé e sbaglia ancora il colpo. Stavrogin fingerà solo di tirare il terzo. Gaganov è annientato dall’umiliazione. Il vincitore è Stavrogin che nel frattempo, mentre attorno gli cascano ai piedi bellissime donne dell ’aristocrazia, ha deciso di sposare una ragazza pazza e zoppa. C’è insomma in ogni russo un germe di pazzia che bisogna conoscere. Io lo conosco, anzi lo vivo. Quando Giorgio Bocca mi ha definito “Un anarcoide, un russo mezzo pazzo” mi ha centrato in pieno. Aveva letto i Demoni. Ora Putin non è Stavrogin, ma un germe di pazzia alberga anche in lui e può essere capace di tutto. Il coraggio ce l’ha, anche se non lo ostenta a differenza di quel comico da avanspettacolo che è Zelensky. E può interpretare la guerra anche come un gioco ludico. Gioco e coraggio sono ciò che lo uniscono a Berlusconi con cui credo abbia avuto una sincera amicizia. Che l’ex Cavaliere ha ricambiato esponendosi in suo favore e contro Zelensky, mettendo l’Italia e tutti gli altri Paesi europei in una situazione emotiva molto vicina a quella di Gaganov. È stato Berlusconi a scrivere direttamente e letteralmente all’ameba Joe Biden: «Tu – lui dava del tu a tutti – di’ a Zelensky che gli proponiamo un grande piano Marshall per la ricostruzione del suo Paese, ma devi metterti immediatamente a trattare altrimenti non ti diamo più armi né dollari». Un atto molto coraggioso perché ci vuole del fegato a mettersi contro i gloriosi United States of America. Soprattutto tenendo conto che Berlusconi è sempre stato più americano degli americani. Che anche Berlusconi fosse pazzo? È possibile. Che fosse pazzo alla moda di Stavrogin lo escudo. Non solo perché Stavrogin è bellissimo e Berlusconi, anche da giovane, non era certo un Adone, ma perché uno che ha vissuto buona parte della sua vita fra il Varesotto e Arcore non può avere nulla a che vedere con i russi, tranne giocarci, una volta tanto, a calciobalilla. I russi sono melodrammatici, con una forte propensione al drammatico, Berlusconi non conosce la dimensione del drammatico. È solo ridicolo come un altro personaggio de I Demoni di cui vi racconterò un’altra volta. Intanto leggete.
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