La Stampa, 21 giugno 2023
I polacchi all’assalto dei russi
La realtà della guerra, il suo corso subiscono un certo giorno trasformazioni che ricordano quelle della terra quando un terremoto ne smuove le viscere. Il movimento all’inizio è impercettibile, l’ondeggiare di una lampadario o la caduta isolata di un soprammobile, lo si nota appena, non si comprende cosa accada… è qualcosa che non puoi vedere toccare eppure sta accadendo. E cambierà tragicamente, radicalmente la vite di milioni di uomini, le nostre vite di ignari cittadini di un secolo accecato da una mediocre ipocrisia. Fu così, ad esempio, nel 1914 quando un ignoto studente uccise un erede al trono a Sarajevo. Poco più che cronaca nera. A Londra si continuò a bere il tè alle cinque in tutti i club, a Parigi gli Champs-élysées erano affollati più al solito, a Berlino il cartellone degli spettacoli non subì alcuna variazione.La guerra in Ucraina è andata avanti, da un anno, nel suo crescendo sornione e inarrestabile segnata da questi continui piccoli movimenti: le forniture di armi sempre più sofisticate, i bombardamenti di rappresaglia russi sulle città, la incriminazione di Putin che ha affossato giuridicamente ogni trattativa, i sabotaggi dei timidi tentativi di mediazione. Abbiamo scavalcato quasi senza accorgerci infiniti Rubiconi immaginari, una azione invisibile e silenziosa, contro cui non sembra esserci difesa, che i geologi chiamano terremoto e gli strateghi guerra totale, feroce e materialista, ben raggrumata di rancori e di odio. Anche se le carte geografiche non sono state cambiate e la linea del fronte è sempre lì, quasi immobile, dopo che è stata tagliuzzata e ricucita infinite volte da offensive e controffensive egualmente inutili, ti accorgi che sei entrato in una fase nuova, più grande e insidiosa, e non potrai anche volendo tornare indietro. Di colpo tutto è diventato incerto, come quando uno comincia a dire bugie.Il nuovo balzo in avanti nella guerra non si avviluppa alla qualità delle armi da fornire alla Ucraina, ad esempio gli aerei da combattimento F16. Una linea superata con la consueta tattica di scavalcare silenziosamente ciò che fino a un minuto prima ufficialmente si è dichiarato come “non all’ordine del giorno”. Provvedono, dopo qualche moina, forniture volontarie di qualche paese Nato più battagliero. In fondo non siamo una alleanza democratica e tra eguali?Il nuovo passaggio a cui ci stiamo apparecchiando è la discesa sul terreno di contingenti militari della Nato a fianco dell’esercito ucraino per scardinare le difese nemiche nei territori occupati. E provocare, perché no? la rotta russa. A capofila di questo sciagurato sviluppo, palesato dalla balordaggine delle parole dell’ex segretario della Nato, il danese Rasmussen, è la Polonia. Varsavia, che ha già sul campo di battaglia molti “volontari” nelle cosiddette brigate internazionali, sembra pronta a spezzare il fragile tabù del non intervento occidentale; in linea con il ruolo di alleato di ferro degli americani sul “limes” europeo che i governanti di Varsavia si sono assunti in quel sanguinoso parco tematico della guerra moderna che è diventata l’Ucraina. Si voglion saldare i conti, come non ricordarlo? per le innumerevoli ferite che il trogloditismo russo, zarista e staliniano, ha inferto alla Polonia negli ultimi tre secoli. Si rinfrescano mai sopite e gloriose rimembranze dell’Armata rossa in fuga davanti alla petulante cavalleria del maresciallo Pilsudski.Ci sono anche in questa determinazione pro ucraina considerazioni di politica interna. Essere la punta di lancia nella guerra contro l’aggressione russa è un lasciapassare infrangibile per tutte le accuse e i dubbi che la Commissione europea accumula sulla politica interna in tema di diritti del governo di Varsavia. La guerra serve, eccome. Non solo al fatturato di armaioli di ogni latitudine e dimensione. E non solo ai polacchi. Di un analogo impiego come certificato di buona condotta si serve anche il governo italiano di centrodestra.Si avvicina dunque la caduta della mediocre finzione della non belligeranza che ci ha messo finora al riparo dalla coscienza dei pericoli di questa guerra. Presentarla con la maschera di iniziativa autonoma al di fuori della Nato dovrebbe evitare, secondo gli ideatori, lo scattare dell’impegnativo articolo 5 che impegna tutti gli alleati in una guerra comune. Dovremo prima o poi tutti immischiarci nella tragedia ucraina mentre finora abbiamo accumulato le buone ragioni per non accostarsi troppo. La guerra falcia agnostici e dogmatici.A far precipitare l’inevitabile c’è il problema della mancanza degli uomini al fronte. L’offensiva ucraina forse troppo sbandierata come risolutiva e inarrestabile va così a rilento da far citare nei bollettini di Kiev tra i successi l’avanzata “da duecento metri a un chilometro”; e da segnare come conquiste l’occupazione di località che sulla carta appaiono come un minuscolo gruppo di case rurali. Le armi si sostituiscono, gli uomini “fini a se stessi”, come diceva Kant, purtroppo no. A un certo punto bisogna contare le riserve, non quelle tecniche ma quelle umane. Gli eserciti occidentali dispongono di una forza che è tecnica e organizzativa. Quello russo, da sempre, dispiega una potenza che si potrebbe definire biologica, fatta da riserve umane quasi inesauribili. È una materia prima che zar, “vozd” e Putin allo stesso modo gettano via senza pietà.A Vilnius tra poche settimane nel vertice della Nato si trarranno le conseguenze di questa evoluzione del conflitto. Se l’Alleanza non adotta misure drastiche a favore di Kiev noi marceremo, minacciano i fautori dell’intervento.Sono cambiate le condizioni della vittoria per alcuni alleati dell’Ucraina. Non più difenderla e preservarne la integrità come all’inizio della guerra, scopo su cui c’era un generale seppur tiepido consenso. Per polacchi, baltici, inglesi e Zelenski vincere è distruggere la potenza militare russa mettendola fuori gioco per molti anni, con la conseguente eliminazione di Putin dalla scena politica. L’esplodere del caos tra le Russie sarebbe risultato positivo, anche se presenta rischi. Insomma un secondo Ottantanove ma non per metastasi interna ma per una sconfitta militare.