Corriere della Sera, 21 giugno 2023
Margherita Sarfatti raccontata da Micol Sarfatti
Condannata per aver amato troppo. Margherita Sarfatti, nata Grassini a Venezia l’8 aprile 1880, prima critica d’arte donna in Europa, scrittrice, giornalista, fondatrice del gruppo artistico Novecento, sconta la pena di un’eroina romantica: incompresa da un mondo che pure ha abbracciato incondizionatamente. Di tutte queste infatuazioni, infatti, la memoria collettiva ne ha privilegiata solo una, la più scomoda e amara, ma anche quella più invitante da dare in pasto agli schieramenti ideologici: prima di ogni cosa, è stata l’amante di Benito Mussolini. «Così un uomo, desiderato, ma tragicamente sbagliato, ha offuscato per decenni la sua figura e il suo pensiero» spiega la giornalista del «Corriere della Sera» Micol Sarfatti nel nuovo libro Margherita Sarfatti. La signora del futuro (Giulio Perrone Editore) in cui si propone di ricostruire il vissuto della sua parente a partire dall’universo di passioni che i posteri hanno dimenticato in fretta.
Il padre dell’autrice – Gino Sarfatti, uno dei pionieri del design italiano – era il pronipote dell’avvocato Cesare Sarfatti, marito di Margherita, che assumerà il cognome da sposata anche negli ambienti culturali del primo Novecento che lei stessa ha animato con una modernità e una curiosità intellettuale implacabili. Fin da piccola, la sua discendente non poteva che rimanerne affascinata. Crescendo, quest’antenata illustre l’«avrebbe incuriosita, resa orgogliosa, imbarazzata, messa davanti alla complessità di una vita, respinta, ispirata» e si troverà a condividere con lei «non solo le iniziali, ma – con le dovute proporzioni – anche il mestiere».
Segno del destino, il dialogo tra le due Sarfatti inizia in una redazione: l’habitat naturale in cui sono maturate entrambe, seppur in epoche diverse. Nel dicembre 2018, in occasione di due mostre dedicate all’influenza artistica di Margherita sulle avanguardie del ventunesimo secolo, Micol scrive un lungo articolo per «7», il magazine del «Corriere della Sera», al tempo diretto da Beppe Severgnini. La reazione dei lettori sarà immediata: mail, tesi di laurea, manoscritti arrivano nell’ufficio della giornalista. È l’inizio di una storia di corrispondenze e di riscoperte: di tutte le lettere d’amore, vissute con grazia ed eccentricità, che Margherita aveva scritto alle molteplici sfumature della vita.
Prima fra tutte, quella dedicata a Venezia. Il legame con questa città non l’abbandonerà mai: culla della sua infanzia e scenario dei primi incanti per l’arte e la bellezza in generale, spiata dal palco del teatro La Fenice o negli scorci sorpresi tra le calli della laguna. Qui incontra i suoi maestri, «i nobili rabdomanti», come li definisce nel memoir Acqua passata (Cappelli, 1955) che Micol Sarfatti ha rispolverato con meticolosa attenzione. Tra loro ci sono professori come il critico d’arte Antonio Fradeletto, fondatore di quella che oggi conosciamo come Biennale, scrittori come Antonio Fogazzaro, e altre figure di spicco della cultura dell’epoca che il padre di Margherita, l’ebreo Amedeo Laudadio Grassini, avvocato e imprenditore visionario, selezionava con cura per l’educazione domestica della figlia, di cui aveva intuito la caparbia e talentuosa attrazione per il sapere.
Arrivano poi le epistole della maturità ovvero i giorni in cui Margherita inizia a vivere un amore adulto, terreno e ideale, con Cesare Sarfatti che sposerà con rito civile nel 1898, dando vita «a una di quelle che oggi chiameremmo power couple, una coppia di potere, non necessariamente politico». Il loro salotto in calle del Rimedio diventerà in breve tempo il ritrovo degli intellettuali della città veneta: idee, opere d’arte, riflessioni e indignazioni entrano nel loro nido coniugale, destinato a diventare «un vero e proprio sodalizio intellettuale», tra i più fecondi del secolo scorso. I momenti più alti del simposio Sarfatti arriveranno a Milano, dove la coppia si trasferisce nel 1902. Con quella che già allora era la capitale del futuro, Margherita vivrà il carteggio d’amore più lungo, profondo e spossante. Glorioso e drammatico.
Con rigorosa premura filologica, Micol Sarfatti ci accompagna nelle stanze attraversate da Margherita con «il passo ben disteso verso il domani», ci mostra gli specchi nei quali cercava il riflesso di una bellezza fuori dal tempo, riprende il filo dei discorsi con cui ha intrattenuto e trattenuto personalità ingombranti, da Filippo Tommaso Marinetti a Gabriele d’Annunzio. «Anche nella relazione con Benito Mussolini è lei, inizialmente, a dare le carte. Lo sgrezza, lo domina culturalmente, lo educa, lo inserisce negli ambienti che contano e sa pure prendersi gioco di lui». Lo conosce nella redazione del quotidiano l’«Avanti!», con cui lei portava avanti la folgorazione per il socialismo che l’aveva colpita fin da giovane. Non avrebbe potuto immaginare che quel «focoso giornalista» avrebbe determinato il suo futuro, anche postumo: si amano come «due adolescenti imbambolati», si confrontano sulla realtà che negli anni Venti cambiava con una velocità inimmaginabile anche dai futuristi. Ma quello stesso mondo che lei vedeva traboccante di novità ed estetica diventa per lui l’arena di un potere mostruoso. L’abbandona, la rinnega e la costringe a trasferirsi in Sud America per sfuggire alle leggi razziali alla quale da ebrea non poteva sottrarsi, pur avendo amato gli occhi di chi le aveva promulgate. È l’atto culminante e tragico di una parabola esistenziale attraversata da amori disparati, ma appiattiti nella voragine fatale di uno solo, e forse nemmeno il più rilevante.
Eppure, in questa storia incurante della ricchezza dei costumi che Margherita Sarfatti ha portato in scena, arriva con questo libro un ricorso storico che le rende giustizia. Nell’autrice trova un’insperata affinità elettiva che si esprime nel ripudio delle facili prese di posizione, nella ricerca di una verità complessa e articolata. Margherita lo fa sfidando le convenzioni della sua epoca, Micol rileggendo la sua figura oltre i luoghi comuni del nostro tempo. Con la convinzione che le lettere d’amore indirizzate a un uomo non possono esaurire il racconto di una vita fatta di desideri.