la Repubblica, 21 giugno 2023
Intervista a Marco Mengoni
«Stamattina ho fatto la crioterapia, sembra che funzioni» dice Marco Mengoni con l’aria allegra «una botta di sangue che va negli organi e riesce a stimolare il sistema immunitario. Tre minuti, in mutande in una cella frigorifera». Ma siamo sicuri? «Nella vita bisogna provare tutto». È l’artista dell’anno: ha vinto il festival di Sanremo, ha rappresentato l’Italia Eurovision, il tour negli stadi è sold out, la festa finale sarà il 15 luglio a Roma al Circo Massimo (una giornata di musica con tanti ospiti, Elodie, Bresh, Gazzelle, Samuele Bersani). In autunno lo aspetta il tour europeo che partirà il 18 ottobre da Barcellona (poi Bruxelles, Amsterdam, Parigi, Francoforte, Vienna, Zurigo e Monaco).
Settantaquattro dischi di platino, oltre 2 miliardi di streaming totali, vincitore del Nastro d’argento per la miglior canzone originale conCaro amore lontanissimo , parte della colonna sonora del filmIl colibrìdi Francesca Archibugi, Mengoni a 34 anni conserva intatta l’emotività e coltiva dubbi. «Ma oggi» dice «mi avvicino di più alla persona che voglio essere».
Com’è ritrovare il pubblico?
«La cosa che mi ha fatto più effetto all’Eurovision è che mi dicevano: “Anche se non capiamo il testo, arriva l’emotività”. È la parte che ti fa nascere le domande, più di quella positiva dell’innamoramento, quando sogni di trovare chi sarà al tuo fianco per tutta la vita».
A Liverpool è salito sul palco con la bandiera Rainbow, dell’inclusività: quanto è importante per lei la battaglia dei diritti?
«Credo che sia importante per me come per tutti. Il dispiacere è che nel 2023 ci troviamo a combattere per cose che dovrebbero essere normali. Mi metto in prima linea. Non sapevo se la bandiera si potesse portare, l’ho nascosta sotto quella italiana, gesto che ha un fondo di verità perché tante persone la pensano come me, ognuno deve essere sé stesso».
Chi la fa arrabbiare?
«Chi cerca di ostacolare senza spiegare. Non vedo un ragionamento che porta a un fine, ho l’età di tante persone che sono anche al governo e evidentemente abbiamo fatto esperienze diverse, vorrei capire come sono arrivate a trarre conclusioni così opposte alle mie. Io sono lontano dall’Olimpo degli artisti che non vanno a fare la spesa, sono un essere umano e non un dio solo perché salgo sul palco. Vedo la società come si muove, inutile ostacolare il cambiamento».
Prima di cantare “Due vite” dice: «Non siamo nati per non sbagliare mai». Per un periodo non si è perdonato gli errori?
«Non me li sono mai perdonati, ho iniziato a creare un equilibrio l’anno scorso, ho cercato di analizzarmi il più possibile. Vivevo con un auto giudizio costante e continuo, sono in terapia da sette anni, ho cercato di lavorare su questo.
Siamo nati per sbagliare, ora sto trovando un equilibrio per sentirmi me stesso».
Sta parlando della sicurezza?
«Sto parlando anche del fatto di scoprire parti del mio corpo, sentendomi a mio agio. Non èstato così in passato, ci ho fatto tantissimo i conti quando sono arrivato a pesare 109 chili poi, subito dopo, 63. Oggi dico: va bene, non devo cambiare me stesso, faccio sport perché mi piace, mi sento più forte».
Ma lei è bello, si vedrà allo specchio.
«Siamo succubi del giudizio, sempre. Adesso cerco di cambiare le persone piuttosto che cambiare me, o comunque penso che bisogna imparare a accettarsi».
È diventato la persona che voleva essere?
«Ci sto lavorando. Credo che sia un percorso lungo e che la vita sia cercarsi e trovarsi, sperimentare più cose possibili e diventare quello che credi sia giusto. Forse non ci si arriva mai, devi andare a sbattere contro te stesso».
Vorrebbe imparare a essere più leggero?
«Lo ripeto tutti i giovedì, dalle 14.15 alle 15.15, alla mia terapeuta. Assolutamente sì, sono uno che pensa troppo. Credo che faccia parte del mio carattere, come limitare i colpi, cercare di dire dei no, che fanno bene anche agli altri.
Sento la frustrazione di aver detto dei sì, anche se non volevo, per cui ho pagato le conseguenze».
È una persona emotiva, si commuove. La fa sentire vulnerabile o lo ha accettato?
«Sono sempre stato così. Arrivano ondate che non posso controllare e piango, non riesco più a cantare sul palco e chissenefrega. Credo che il pubblico mi capisca, siamo collegati anche da questo. Poi ho fatto passi avanti. Come scoprirela pelle, e mostrare quelli che ritengo i miei difetti, quando non avrei voluto vederli».
“Ti ho voluto bene veramente”, è una delle sue canzoni più amate. Racconta la perdita: com’è nata?
«Siamo stati quattro giorni con Fortunato Zampaglione chiusi a casa, non avevo la concentrazione. Io l’ho collegata moltissimo alla perdita della “supereroicità” di mia mamma, al fatto che era un essere umano e non era invincibile. Sembra semplice, ma per un figlio molto attaccato alla madre è uno choc.
Poi le fotografie si sono accumulate in quel pezzo, lo canto per altre esperienze».
Ha detto: «Sono di Ronciglione, sono cresciuto con mio nonno, le radici sono tutto». Davvero il successo non l’ha cambiata?
«Mio nonno, il mio paese, le mie origini mi hanno ancorato tanto a terra che a volte non ho la percezione di essere diventato qualcosa, sono sempre quel ragazzo lì, che vola iper basso. Poi le persone mi dicono: “Hai fatto cose grandi, sentitici un po’”. È il match Mengoni-Donà, la mia manager, lei è super carica, e io sono l’opposto» .
Nel 2013 ha vinto Sanremo con “L’essenziale”, dieci anni dopo con “Due vite”. Tra dieci anni che obiettivo si pone?
(ride). «Crioterapia, ancora congelato. Vediamo se riuscirò a resistere 15 minuti».