il Giornale, 21 giugno 2023
Intervista a Omar Pedrini
Omar Pedrini, ha appena compiuto 56 anni.
«Faccio parte di quelli che l’hanno sfangata, anche se probabilmente ero programmato per morire a 27 anni».
Adesso?
«Adesso esco un periodo davvero difficile e doloroso. Cinque interventi in anestesia totale in due anni, dei quali due a cuore aperto. Ho un cuore ipertrofico, più grande del normale».
Perché ha intitolato Sospeso il suo nuovo disco?
«Perché sono sempre sospeso tra la vita e la morte. Ma non sono soltanto io. Anche il nostro pianeta lo è».
Lei è anche sospeso tra due soprannomi.
«Per tanto tempo sono stato il Cane sciolto, ora sono anche il Rocker contadino, faccio l’olio nel frantoio di San Francesco».
C’è una furiosa dolcezza nelle parole di questo compositore anarchico che da Brescia alla fine degli anni Ottanta è entrato con i Timoria nel club delle grandi rock band italiane. Lui suonava la chitarra, era una sorta di Pete Townshend italiano ribelle, scatenato ma colto. Da allora si è guadagnato pian piano il ruolo unico del musicista che segue la musica e se ne serve per fare (e capire) la cultura. L’Omar Pedrini di oggi, sempre visionario ma pedinato dai guai al cuore, è la naturale evoluzione del ragazzo che negli anni Novanta ha anticipato molti dei temi sui quali oggi si scrivono canzoni e si lanciano programmi. L’ambiente, ad esempio. «Un professore all’università mi disse che la mia sarebbe stata la prima generazione a ritrovarsi in pianeta messo peggio di quello dei padri. Allora con i Timoria pubblicammo il disco ecologista 2020 Speedball e molti mi diedero del complottista, del catastrofista ecc ecc. Oggi sento molti parlare di clima...». Però ormai sono pochi che infilano nello stesso disco nove canzoni e un’Ave Maria, anche se l’Ave Maria «è un po’ pagana». Insomma, il nuovo disco di Omar Pedrini è Sospeso tra un rock chitarroso e fughe nel funk o nelle melodie cantautorali.
Però sono trascorsi sei anni da quello precedente.
«Credo che sia il tempo giusto per trovare qualcosa di davvero significativo da dire».
Si è in attesa del Diluvio universale (titolo del primo singolo).
«Arrivo dalla X Generation, la prima generazione davvero sfigata. Noi protestavamo nelle piazze. Ora voglio fare una dedica ai ragazzi che protestano per l’ambiente. Anche se i metodi sono spesso discutibili».
Più che discutibili.
«Ma credo sia comunque necessario dialogare con loro».
La giusta guerra può sembrare un elogio di Putin.
«Ma figurarsi. Penso che tutti, destra e sinistra, ucraini e russi, tutti davvero prima o poi dovremmo fare una giusta guerra per salvare il pianeta».
C’è pure una canzone dedicata a sua figlia, Una e unica.
«Sì a dieci anni l’ho sentita dire papà sono grassa. Pensi che roba. Così mi è venuta questa canzone per dirle che no, non è così ma è una e unica».
Caro Pedrini, lei va controtendenza. Nell’epoca dei «feat.» questo è un disco senza ospiti.
«Per una volta ho voluto parlare di me e di ciò che pensa un uomo sospeso ogni giorno tra la vita e la morte. Però ci sono delle dediche. Questo disco è alla memoria di Andrea Pinketts, Giovanni Gastel, Matteo Guarnaccia e anche Tommaso Labranca, che sono autentici punti di riferimento per me».
Nel 2004 ha vinto il premio al miglior testo al Festival di Sanremo per Lavoro inutile.
«Ero l’uomo più felice d’Italia».
Dopo vent’anni potrebbe riprovarci.
«Perché no? Con l’inedito giusto».