ItaliaOggi, 21 giugno 2023
Vino in topless
Le capsule che ricoprono il collo delle bottiglie di vino sarebbero sulla via del tramonto. Sta prendendo piede, specialmente nei paesi meno conservatori dal punto di vista enologico, l’abitudine di fare a meno della classica capsula in stagno o, in tempi più recenti, in alluminio polilaminato o anche in plastica Pvc.Waitrose, importante catena di supermercati britannici si è recentemente aggiunta al coro favorevole alle bottiglie «dal collo nudo», almeno per quanto riguarda i suoi house brand. È un passo importante verso la rispettabilità per vini che sembrano, secondo i denigratori della novità, «in topless».
L’usanza di coprire i tappi delle bottiglie con la stagnola iniziò nel XIX secolo e aveva come scopo principale proteggere i sugheri da parassiti e insetti infestanti che, durante un lungo soggiorno in cantina, potevano far deteriorare il contenuto della bottiglia. All’epoca, la pratica era riservata solo ai vini di pregio, gli acquirenti comuni bevevano lo sfuso. La capsula diventò una sorta di simbolo di qualità e pertanto uno strumento di marketing.
Al giorno d’oggi, l’acquirente abituato ad acquistare qualche cassa da mettere in cantina è quasi scomparso. Ormai ci basta comprare un paio di bottiglie da consumare in settimana, un lasso di tempo che non presenta pericoli per il tappo. Piuttosto, specialmente nei paesi anglosassoni, il rischio percepito dai consumatori è per l’ambiente. Forse perché storicamente, fino ai primi anni Novanta del secolo scorso, si utilizzava un metallo tossico, il piombo, per sigillare le bottiglie, i consumatori occidentali oggi non guardano più alla capsula con lo stesso entusiasmo di una volta.