il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2023
I due modi per sbarazzarsi della Storia
Futuristi e fascisti
Più o meno presso ogni popolo di Europa, nelle varie sfere della vita intellettuale e artistica, morale e politica, si nota oggi una sorta di decadenza del sentimento storico, quando non addirittura uno spiccato atteggiamento antistorico. Questa decadenza e questo risoluto antistoricismo si presentano in due modi diversi, e anzi opposti, che hanno tuttavia comune l’origine, come del pari mostrano la tendenza ad accostarsi, a mescolarsi e a scambiare le loro parti. Il primo modo, che ha dell’irruente e rivoluzionario nell ’aspetto, riceverebbe forse la sua designazione propria se al suo interno si estendesse quel nome che è di una delle sue particolari manifestazioni letterarie e artistiche, e che fu pronunziato anni addietro per la prima volta in Italia: “Futurismo”. Esso, infatti, idoleggia un futuro senza passato, un andare innanzi che è un saltare, una volontà ch’è un arbitrio, un ardimento che, per serbarsi impetuoso, si fa cieco; e adora la forza per la forza, il fare per il fare, il nuovo per il nuovo, la vita per la vita, alla quale non giova mantenere il legame col passato e inserire la sua opera sull’opera del passato, perché non le importa di essere vita concreta e determinata, ma vuol essere vita in astratto o mera vitalità, non il contenuto ma la vuota forma del vivere, che si pone, essa, come se fosse un contenuto. Da ciò l’impazienza, l’antipatia, l’avversione, il dispregio, l’irrisione verso la tradizione storica, che se nei futuristi letterarî si effondevano rumorosamente con le allegre richieste di abbattimento dei monumenti, distruzione delle pinacoteche e dei musei e bruciamento delle biblioteche e degli archivî, e con la professata e consigliata ignoranza di qualsiasi storia, nei futuristi pratici e politici danno parimente segno di sé con la scarsa pietà, l’indifferenza e l’irriverenza verso la memoria di coloro che faticosamente nei secoli formarono quella che ora si chiama l’umanità; con la incoscienza del lavoro e del valore che si racchiudono nei concetti, nei sentimenti, negli abiti, nelle istituzioni esistenti; con la credenza che il passato sia il morto, laddove, per chi ha occhi per vedere, esso è l’eterno presente e vivente.
Diversamente da questo primo modo di estremo attivismo, il quale, se rigetta la storia passata, sembra ammettere una storia futura – una storia, a dir vero, che non è storia ma una corsa a rompicollo o una ridda da ebbri –, il secondo modo di antistoricismo aborre l’idea stessa della storia come il regno del relativo e del contingente, del mobile e diverso, del vario e individuale, e sospira e aspira e si sforza all’assoluto, al fermo, all ’uno, a trarsi fuor della storia, a superare lo storicismo, per acquistare sicurezza e pace. Rispetto alla vita sociale, questo secondo modo pone il suo ideale in ordinamenti che sopprimano l’intervento individuale, e con ciò la concorrenza, la gara, la lotta, e impongano la “regola”; sia che la regola propugnata venga desunta da nuove escogitazioni e si configuri in nuovi assetti economici, sociali e statali, sia che la si ritagli da taluna delle età o delle società della storia passata, compiendo una sorta di restaurazione: che è poi la più flagrante negazione della storia...
Come l’estremo attivismo nel futurismo estetico, questa concezione ha il suo riflesso in letteratura e in arte nei conati di ritorno al classicismo dei generi fissi, dei modelli e dell’accademia, cioè a una particolare età della storia letteraria e artistica, che, a questo modo esaltata, è insieme falsificata... Ci s’illude di poter sostituire con vantaggio l’azione dell’autorità, che, sopra un terreno sbarazzato dall’ingombro, dall’incubo e dalle seduzioni del passato, disponga e comandi quel che si deve fare conforme alla costante norma ideale, e ne tracci il disegno dirigendone l’esecuzione. E poiché entrambi i modi, come si è detto, hanno comune l’origine nel comune rigetto della storicità, e si oppongono solo nel concepire diversamente (l’uno in forma anarchica, l’altro in forma autoritariamente disciplinata) l’opera che all’uomo tocca di adempiere, non è meraviglia che di volta in volta gli anarchici, stracchi dell’anarchia, trapassino in autoritari, i futuristi in classicisti e accademici, i negatori della divina vita della storia in cattolici o segnatamente in cattolici della Controriforma e del Sillabo, gli scapigliati e scompigliati in restauratori, i demagoghi in gendarmi e poliziotti; o che, all’inverso, gli assertori dell’assoluto, del fermo, dell’uno, stufi dell’immobilità a cui si erano costretti, si ribellino a sé stessi e prendano a sgranchire le membra irrigidite partecipando alla danza bacchica del futurismo letterario, politico e morale... L’antistoricismo odierno, dunque, par che sia non già un rovescio e un simbolo negativo di nuova sanità, ma impoverimento mentale, debolezza morale, eretismo, disperazione, nevrosi, e, insomma, un’infermità, da superare con la pazienza e con la costanza, come tutte le infermità. Di questo suo carattere d’infermità può recare conferma l’altro fatto che, insieme con l’antistoricismo, accade di osservare, e che intrinsecamente forma tutt’uno con esso: la decadenza dell’ideale liberale, la quale in alcuni Paesi ha avuto anche per effetto la formazione di regimi.
(1930)
[da: Benedetto Croce Discorsi Oxford Treccani libri]