Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 20 Martedì calendario

Tre date per Mazzini

Tre date, tre pennellate decisive per definire l’influenza di Giuseppe Mazzini nella storia nazionale, prima e dopo il Risorgimento. 1949. A Roma, sul colle Aventino, vienecollocato il monumento al genovese fatto a suo tempo da Ettore Ferrari, lo scultore che aveva realizzato anche la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori, con il volto che guarda torvo verso il Vaticano. Per varie vicende, il monumento mazziniano era rimasto chiuso in magazzino per decenni. Rivede la luce nel centenario della Repubblica Romana grazie a un’iniziativa di Alcide De Gasperi favorita da Randolfo Pacciardi, il repubblicano allora ministro della Difesa. Il cattolico De Gasperi e il laico Pacciardi, due storie diverse che si ricongiungono nel segno di Mazzini e nella volontà di esprimere insieme un’idea comune e riconciliata della storia d’Italia; in quella “terza Roma” che il profeta dell’unità voleva diversa da come poi si era realizzata. Del resto, fu il suo destino. Suscitare passioni contrapposte anche molto dopo la sua scomparsa: da Gentile a Croce, da Prezzolini a Gobetti a Salvemini, a tanti altri. Un passo indietro. 20 settembre 1870. Il momento della più grande delusione per l’esule. Roma è sottratta al Papa, ma la conquista non avviene per una rivolta di popolo, per un’iniziativa democratica e rivoluzionaria. Attraverso la breccia di Porta Pia entra l’esercito della monarchia piemontese. La “terza Roma” tanto sognata non è quella del popolo, bensì diventa la capitale di un regno che Mazzini non riconoscerà mai.Di nuovo un passo avanti. 1911. Celebrazioni per il primo Cinquantenario dell’unità. In Campidoglio, il 10 marzo, il sindaco Ernesto Nathan, il più autorevole esponente mazziniano, celebra l’Apostolo. La sua vita s’intreccia con quella del grande repubblicano per le note ragioni familiari. Mazzini era morto nel 1872 a Pisa, sotto il nome di Giorgio Brown, nella casa di Janet Rosselli, sorella di Ernesto, alla presenza della loro madre Sara Levi, vedova del banchiere inglese Moses Nathan, finanziatrice della causa italiana. Strettamente imparentata con i Rosselli, la famiglia da cui discenderanno Carlo e Nello, martiri dell’antifascismo. Notizia clamorosa, Nathan parla di Mazzini davanti al re Vittorio Emanuele III e riconnette l’apostolo alla storia realizzata. Manifestando una chiara volontà di conciliazione, afferma che nell’Apostolo «l’obiettivo unitario era stato prevalente rispetto all’ideale repubblicano e la religione era vista come fattore di progresso civile». Metodo e azione, dice il sindaco, proiettati nel tempo si armonizzano. Così inseriva Mazzini nella storia ufficiale dell’Italia, superando antiche, dolorose fratture.La patria è unita per concordia d’animi, afferma il discepolo che guida Roma. La patria come missione, dove i doveri precedono i diritti. Quella patria, raccontano gli infiniti studi sul tema, che non comincia con il Risorgimento ma risale molto più lontano nel tempo. Ed è ciò che rende Mazzini così centrale nel processo di riscatto nazionale. Non le sue attività di cospiratore sfortunato, iniziatore di moti finiti nel sangue, nemmeno le sue vibranti polemiche, nello spiritodei tempi, con Marx e il marxismo, con il socialismo e l’anarchismo. Bensì la sua tenacia morale nel sollevare energie e suscitare uno slancio morale proteso verso la meta. Una capacità carismatica che gli deriva dall’idea di un’Italia nata assai prima della sua unità politica.È l’Italia come unità culturale e linguistica che comincia con Dante e poi discende fino a trovare nel moto risorgimentale il momento in cui il pensiero diventa azione.Ecco il posto privilegiato di Mazzini nella storia nazionale: la sua dimensione profetica nel segno dell’italianità. (“Un italiano” era la firma dei suoi articoli dall’esilio, ed è proprio questo termine e solo questo che Giovanni Spadolini ha voluto scolpito nella lapide della sua tomba a San Miniato). Fu l’iniziatore di una condizione civile riassunta nel motto “Dio, Patria e famiglia” che molti oggi gli rimproverano come un arcaismo un po’ reazionario, ma che nella sua visione era invece la base della convivenza in una comunità allargata, soprattutto perché il suo Dio significa adesione spirituale a una religione che può essere civile, umanitaria e comunque non identificata con i canoni della Chiesa romana. Con tratti che rendono attuale la sua eredità. Come quando scrive: «Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali».Uomo della nazione, mai nazionalista nel senso di prevaricatore. La patria italiana nella più grande patria europea. La pensava così anche Carlo Azeglio Ciampi, che espose le opere di Mazzini sulla scrivania quando si congedò dagli italiani alla fine del mandato.