il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2023
Berlino, maxi aiuti di Stato
A Magdeburgo, capitale dello Stato federale della Sassonia-Anhalt nella Germania centro-settentrionale, hanno già avviato le ricognizioni per un enorme cantiere con americana (e tedesca) sollecitudine. Qui, come confermato dall’intesa di ieri tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e l’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, sorgerà lo stabilimento di microprocessori targato Intel al prezzo di una maxi-sovvenzione pubblica di 9,9 miliardi, quasi un record storico. Il conto è stato fatto dal giornale Politico: ogni famiglia tedesca contribuirà con 240 euro.
Dal canto suo, Intel sta investendo più di 30 miliardi di euro: ne aveva preventivati 17 l’anno scorso e sono quasi raddoppiati per i costi delle materie prime e dell’energia e così ha fatto Berlino che è passata dagli iniziali 6,9 ai 10 miliardi accordati ieri, dopo lunghe trattative. Soldi che dovranno essere approvati dalla Commissione europea visto che finanzieranno due impianti di semiconduttori e un parco high-tech per l’insediamento dei fornitori, con stime di posti di lavoro che prevedono 7mila impiegati durante la costruzione e 3mila permanenti. È stato anche trovato un nome per questo programma: Silicon Junction, “il punto di congiunzione” per lo sviluppo di ricerca e produzione europee e che rientrino così, nonostante siano promosse da un’azienda statunitense, negli obiettivi del Chips Act europeo (rafforzare ricerca, leadership tecnologica, progettazione, produzione e confezionamento entro il 2030, competenze, nuovi talenti e comprensione del mercato per ridurre la dipendenza estera).
Bruxelles non dovrebbe dunque riservare sorprese nonostante di norma i sussidi statali possano essere utilizzati per sviluppare nuove tecnologie piuttosto che per commercializzare quelle esistenti. Il Covid e l’improvvisa interruzione delle catene di approvvigionamento con la Cina – nonché l’Inflation Reduction Act statuunitense – hanno cambiato le carte in tavola e creato nuovi spazi di manovra nei casi in cui ci sia la possibilità di riportare a casa le produzioni industriali, che siano armi o medicinali. Intel potrà usufruire delle maglie larghe di tutta la casistica. L’accordo non è stato comunque semplice. Il ministro delle Finanze Christian Lindner (Fdp) era contrario a un aumento dei finanziamenti, il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) era favorevole e dovrà essere proprio lui ora a tirar fuori i soldi aggiuntivi, 3,1 miliardi, dalClimate and Transformation Fund.
L’operazione rientra in un più ampio piano Intel in Europa. La società ha annunciato anche un investimento di 4,6 miliardi di euro a Wrocław, in Polonia. L’impianto riguarderebbe la fase di “assembly & test”, quindi montaggio e test, dei semiconduttori e dovrebbe creare circa 2mila posti di lavoro diretti, molti di più considerando l’indotto. Sarebbe utile all’impianto tedesco e anche a quello, sempre di fabbricazione di microprocessori, già esistente a Leixlip, in Irlanda. La filiera, insomma, è completa e attraversa tutta l’Ue di fatto presentandosi come la risposta a quella autonomia tecnologica agognata da anni da Von der Leyen ma evidentemente difficile da raggiungere senza la stampella degli Usa. E l’Italia?
Se ne parlava l’anno scorso, poi l’ipotesi di un impianto Intel italiano pare essere sparita dai radar. Il progetto prevedeva un investimento dal valore stimato di 4,5 miliardi a Vigasio, in provincia di Verona, che il governo avrebbe potuto coprire con fondi pubblici fino al 40% e che avrebbe generato 3mila posti di lavoro diretti. Sia l’azienda che il governo smentiscono i timori che la fabbrica polacca faccia concorrenza a quella (ancora potenziale) italiana. Intel ha spiegato a Formiche che l’impianto italiano “riguarda un diverso processo nell’ambito della fase di back-end della produzione” (ovvero il cosiddetto advanced packaging, ndr). “Gli impianti in Polonia e in Germania non sono in competizione con quello ipotizzato in Italia, che riguarda appunto una nuova tecnologia non ancora produttiva – spiega al Fatto il ministro delle Imprese e del Made In Italy, Adolfo Urso – Noi abbiamo risposto alle richieste dell’azienda come loro ci riconoscono. Ora dipende dalle loro scelte aziendali e dalle risorse che intendono impiegare”.