la Repubblica, 20 giugno 2023
Intervista a Graham Nash
Ottantuno anni, una carriera stratosferica, prima da stella del beat inglese con gli Hollies, poi superstar in California con Crosby, Stills e Young e sempre solista apprezzato ed amato. Nash ha da poco pubblicato il suo nuovo album, Now .
A sette anni di distanza dal precedente This path tonight il cantautore anglo-americano torna con un album fatto di polvere, malinconia, amore, speranza e tensione, in cui racconta il suo “adesso” senza timore e il suo sguardo attento sul mondo, sulla realtà. È una sorta di sommariomusicale della sua storia: «Ho pensato che alla mia età potevo guardare con calma agli ultimi sessanta o settanta anni del mio viaggio», dice ridendo, «e ho realizzato un paio di cose: una è che sono stato incredibilmente fortunato, l’altra è che posso dire di aver fatto le scelte giuste. La vita, alla fin fine, è nelle scelte che facciamo».
Nell’album ci sono molti riferimenti all’attualità.
«Penso che sia il compito di ogni artista parlare dei tempi in cui vive.
Dobbiamo raccontare il nostro privato ma anche quel che accade nella politica, i temi ambientali, la musica».
Il disco parla anche, in “I watched all come down”, di come era la musica e come è oggi…
«Ho vissuto una stagione straordinaria in cui tantissime cose avvenivano per la prima volta. Oggi è diverso, ci sono milioni di band e di artisti, negli anni Settanta ce n’erano al massimo qualche migliaio. E questi milioni combattono tutti insieme per un piccolo spazio nei media. La musica buona c’è ma è difficile poterla ascoltare, difficile per gli artisti crescere. Il vecchio mondo è decisamente finito».
Raccontare storie sul mondo di oggi è più difficile di un tempo?
«Per noi era facile parlare di cose importanti perché il nemico era più individuabile. Parlavamo di Nixon e lui non aveva a disposizione tutti i media, pensavamo fosse cattivo ma non c’è paragone con Trump che è molto peggio. Non credo che sia più difficile, anzi credo che si debba insistere e provarci sempre».
Mentre registrava questo album è scomparso uno dei suoi più vecchi compagni, David Crosby.
«È stato terribile. Abbiamo fatto cose meravigliose insieme. Prima della sua morte, eravamo tornati ad avere una relazione molto stretta, David si era voluto scusare di aver detto cose che non doveva dire e ci siamo ritrovati. Questo ha reso per me più accettabile la sua scomparsa, sapendo che eravamo tornati amici.
Non avrei potuto sopportare il contrario. Quando è morto non ho fatto altro, per giorni, che ascoltare quella magnifica musica che abbiamo fatto insieme».
L’album, in fin dei conti, è la sua ennesima affermazione di amore per la vita.
«Le racconto un aneddoto. Quando ho scrittoWild tales ,la mia autobiografia, ho fatto un tour di presentazioni, e in una libreria a Manchester, in Inghilterra, un ragazzino mi ha mostrato un busta, grande e mi ha detto: “Hai bisogno di questa”. Ho chiesto cosa fosse, mi ha risposto che era una sorpresa che avrei dovuto aprire dopo. Tornato in albergo l’ho aperta e dentro c’era un reperto storico, un registro scolastico di quando avevo undici anni. E il commento dell’insegnante era: “Questo ragazzo vuole conoscere tutto”. Credo sia ancora così».
Si può dire che “Now” è il disco di un artista che è ancora un po’ angelo e un po’ ribelle?
«Forse non sono stato davvero mai né l’uno né l’altro. Ma ho sempre guardato al futuro, a qualcosa di meglio. Credo ancora in quello che dicevano gli hippies: l’amore è meglio dell’odio, la pace è importante, comprendersi è la chiave, ogni vita è importante. E penso ancora che le canzoni possano contribuire a cambiare il mondo. Ho ancora speranza per l’umanità».