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 2023  giugno 19 Lunedì calendario

Jung contro Duchamp e Picasso

A New York, nel marzo 1913, in occasione del suo soggiorno americano, Carl Gustav Jung visitò l’Armory Show, la prima grande esposizione d’arte moderna negli Stati Uniti. Vide il quadro di Duchamp, Nudo che scende le scale, ispirato all’opera dei futuristi italiani e dipinto con colori simili a macchie di caffè slavato, e pensò: «Assomiglia a un negozio di sigari dopo un terremoto. Se però si muove velocemente avanti e indietro l’immagine del quadro, in modo da produrre un effetto stroboscopico, allora si vede effettivamente la Nuda sulle scale, ma non si capisce bene se, in tale mise, voglia recarsi in cucina oppure nella sala da pranzo». Il quadro, venduto a un prezzo molto alto, avviò al successo Duchamp.

Trascorsero quasi vent’anni, e venne chiesto a Jung che impressione gli facessero i dipinti di Picasso. Rispose con un articolo, pubblicato nel 1932 sulla Neue Zürcher Zeitung: «Il tema principale è Arlecchino che si dissolve in un negozio di porcellane bombardato». Nello stesso anno scrisse sulla Europäische Revue un saggio sull’Ulisse di Joyce. Entrambi gli scritti davano un’interpretazione psicologica dell’arte e della letteratura contemporanea. Suscitarono furenti critiche. A scandalizzare fu soprattutto l’affermazione che le opere di Picasso e di Joyce gli ricordavano dipinti e lettere dei pazienti con una predisposizione schizoide.
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)


Jung era ormai molto vecchio quando lo storico dell’arte Josef Paul Hodin gli propose di analizzare i lavori di altri artisti moderni, per esempio di Paul Klee. Jung rifiutò. Disse che non voleva più saperne di arte moderna, perché era troppo brutta. Spiegò che un tempo era molto attratto dall’arte. Che lui stesso dipingeva, scolpiva, intagliava il legno. Che aveva anche un certo gusto per il colore. Nell’arte moderna aveva subito individuato un interessante problema psicologico, che aveva espresso in quei saggi su Picasso e su Joyce. «Riconobbi nella loro arte un elemento fortemente antinaturale, lo stesso che mi trovo di fronte nei miei pazienti. Questa gente si divide in due gruppi. I nevrotici e gli schizofrenici: i nevrotici soffrono per i problemi della nostra epoca. L’arte trae vita dalla situazione contemporanea e insieme la esprime; in questo senso è profetica. Ci parla del nostro humus e degli strati profondi così come una pianta ci parla della natura e della terra. I miei pazienti dipingono quadri simili a quelli degli artisti moderni: quando ci si trova in uno stato caotico tutte le forme si dissolvono. Allora ci attanaglia il panico».
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)

La disgregazione dell’oggetto, alla base dell’arte contemporanea, non esercitava alcun fascino su Jung, che aveva incardinato la propria teoria della psicologia analitica sull’unione degli opposti, sulla convivenza pacifica tra conscio e inconscio.
Voleva, con la terapia, mettere i contrari a confronto e arrivare a una loro durevole riunificazione.
Dopo la rottura con Freud, nel 1913, aveva iniziato a sperimentare su sé stesso il confronto con l’inconscio, per far affiorare alla coscienza le fantasie e le emozioni più profonde, e tradurle in immagini. Allo scopo praticò anche lui la pittura, con pigmenti preziosi e pennelli di zibellino. Dipinse sogni e talismani, forme astratte che rappresentavano archetipi, figure orfiche e idee filosofiche, persino la propria anima, impersonata in un busto femminile. Interpretò questi disegni in chiave puramente psicologica e volle che restassero segreti, chiusi nel caveau di una banca svizzera, fino a cinquant’anni dopo la sua morte. Sono stati pubblicati nel 2009 nel Liber Novus o Libro rosso.
Dipinse anche, insieme allo scenografo americano Robert Edmond Jones, che aveva invitato nel 1928 nella Torre di Bollingen sul lago di Zurigo, un grande murale. E per la casa che aveva fatto costruire nel 1909 a Küsnacht, sempre in Svizzera, aveva chiesto ai copisti del Louvre di riprodurre quadri di Filippo Lippi, Domenico Ghirlandaio, Frans Hals.
Raccontava della sua vita isolata e dedicata interamente al lavoro, delle giornate trascorse di fronte all’immagine di anime e corpi distrutti, dei sentimenti penosi in cui era costretto a immergersi, dei procedimenti mentali confusi, e spesso orribilmente aggrovigliati, che gli toccava districare. Infine dell’indicibile bisogno di trovare, la sera, qualcosa di bello e di elevato, più in alto della natura.
Lo psicoanalista Charles Baudouin, invitato nel gennaio del 1945 a pranzo da Jung, notò che nella stanza troneggiava una riproduzione del Ritratto di vecchio con nipote di Ghirlandaio, dove il vecchio ha il naso mostruosamente deformato dai bubboni.
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)