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 2023  giugno 19 Lunedì calendario

Parlano i figli di Mike Bongiorno

Il padre di Michele, Nicolò e Leonardo è stato l’uomo che, per due volte, inventò la nostra tv. Fu lui, Mike Bongiorno, a inaugurare le emissioni ufficiali della Rai conducendo, nel 1953, Arrivi e partenze, e fu sempre lui a inaugurare la prima tv commerciale, conducendo nel 1979 I sogni nel cassetto sulla Telemilano 58 che di lì a poco sarebbe diventata Canale 5. Il 26 maggio, avrebbe compiuto 99 anni, invece se n’è andato all’improvviso l’8 settembre 2009. Finora, non era mai successo che i tre figli, tutti nati dal matrimonio con Daniela Zuccoli, si ritrovassero insieme per un’intervista sul papà. Michele ha 50 anni e fa il produttore di documentari, arte, biografie, Nicolò ne ha 47 e fa il regista, Leonardo ne ha 33 e si occupa di investimenti in finanza e real estate.


Vostro padre è stato tra i fondatori della tv e il re dei telequiz, di «Lascia o raddoppia?», «Campanile sera», «Rischiatutto», «La ruota della fortuna...». Quanto era fiero di quello che aveva fatto e quanto ne parlava?
Michele: «L’ho sentito ricordare i suoi programmi solo quando ne discuteva con i colleghi: aveva un’ottima memoria, aveva messo impegno in tutto e, perciò, di ogni trasmissione sapeva dire perché l’aveva fatta in quel momento e perché in quel modo. Ma ne parlava sempre e solo da un’angolazione tecnica. A noi, non ha mai fatto lezioni su Mike Bongiorno e la tv».
Nicolò: «Non si celebrava mai. Anche degli anni da partigiano e della sua prigionia ha cominciato a parlarmene solo quando scrivemmo insieme la sua biografia, La Versione di Mike, uscita nel 2007. Era stato arrestato durante una missione di partigiani e aveva rischiato di essere fucilato dai tedeschi. Erano vicende che lo avevano formato e fatto diventare chi era, ma non erano le cose che metteva davanti. Preferiva raccontare le sue avventure e disavventure sportive, come la storia di quando restò bloccato sulla vetta del Cervino a 4.478 metri sotto la bufera, o raccontava i suoi acciacchi, il suo elenco infinito di infortuni, gli episodi più comici».
Leonardo: «Dei suoi racconti di vita e di disavventure, ricordo sempre i suoi riferimenti agli angeli custodi. Non era praticante, ma aveva una forte spiritualità, parlava spesso di come si potesse trasformare un’esperienza negativa in qualcosa di buono e di come, tante volte, le cose gli erano andate bene contro ogni previsione. S’immaginava gli angeli come se fossero proprio delle figure alle sue spalle che lo accompagnavano».
Michele: «Prendevamo seriamente quei momenti. Raccontava che gli angeli lo avevano assistito anche nel lavoro: quando lasciò la Rai e 25 milioni di ascolti per una piccola tv privata era stato un salto nel vuoto. Ma lui conosceva il successo che le tv private stavano avendo in America ed era rimasto affascinato da Silvio Berlusconi. Raccontandolo, diceva: qualcuno dall’alto mi ha consigliato e mi ha messo sulla strada buona».


Quanto era presente come padre?
Michele: «Diciamo che aveva un jet lag diverso rispetto a noi bambini: lavorava di sera, cenava tardissimo, la mattina dormiva fino a tardi. C’era poco, ma è riuscito a passarci i valori di base: serietà nei rapporti, rispetto degli altri, umiltà... Forse Leonardo, che è il più piccolo, se l’è goduto di più».
Leonardo: «Sono nato quando aveva 65 anni e credo che con me abbia vissuto un suo lato più giocoso, anche se restava un padre non dico di un altro secolo o che gli dessimo del lei, però aveva quella impostazione: era il papà, era quadrato, era serio».
Nicolò: «E come tutti gli americani, nella vita, o lavorava o faceva sport. Tennis e montagna, soprattutto. L’ultimo anno prima di morire, faceva ancora sci di fondo. Non c’è sport che non abbia provato, anche i più pericolosi. E a 78 anni aveva raggiunto il Polo Nord con i cani da slitta».
Michele: «Con noi figli ha fatto tanti viaggi. Portava sempre me e Nic bambini in America. Ci teneva a tornare ogni anno nel Paese in cui era nato e il cui passaporto gli aveva salvato la vita: i tedeschi non lo fucilarono perché scoprendo che era anche americano ritennero che fosse più prezioso come prigioniero. Comunque, i viaggi erano molto on the road: in macchina, facendo una vita semplicissima, montando una tenda in un canyon. A Milano lo vedevamo sempre vestito in modo elegante, formale, lì sembrava un’altra persona, che faceva rafting, dormiva nel nulla. Nonostante potesse permettersi dei lussi, era molto spartano».
Leonardo: «Io mi ricordo di quando in un motel della Death Valley non c’era abbastanza posto e lui dormì nella vasca da bagno».
Nicolò: «Il mio ricordo più bello è quello di quando ci siamo uniti a una tribù indiana che navigava sul Colorado River e poi abbiamo dormito in sacco a pelo su una sponda».


Quanto gli corrispondeva il suo famoso motto «allegria»?
Michele: «Totalmente, lui era molto grato alla vita per quello che gli aveva dato e che entrasse in scena o che si sedesse a tavola con noi, portava sempre una botta di buonumore. Poi, a me faceva molto ridere quando giocava coi dialetti. Avendo girato ogni paesino d’Italia, li sapeva tutti».
Nicolò: «Con Giro Mike a veva coperto tutte le feste di paese e aveva una tale memoria che di un paesino di 200 anime sapeva darti le indicazioni per arrivare al supermercato. E, a casa, quando si metteva a raccontare i suoi aneddoti e c’erano i miei amici bambini come me, pendevano tutti dalle sue labbra, e poi si rideva con le lacrime agli occhi».


Faceva anche in casa le gaffe per cui era celebre in tv?
Leonardo: «Le gaffe erano tutte spontanee, non costruite. Poi, lui era bravo a ricamarci su. Diceva che gli venivano perché aveva due binari nel cervello: uno con quello che stava dicendo, un altro con quello che doveva dire».
Nicolò: «Comunque, quando scrivemmo il libro, io e lui ci siamo rivisti la famosa puntata in cui avrebbe detto “signora Longari, mi è caduta sull’uccello” e quella frase non l’abbiamo trovata».


Lui come si spiegava che fosse su tutti i giornali?
«Non se lo spiegava, ma questa cosa lo faceva ridere e ci ha marciato un po’».


Invecchiando come era cambiato?
Michele: «È stato in forma fino all’ultimo minuto. Faceva le sue corsette e non aveva smesso di lavorare: pensava a un nuovo Rischiatutto per Sky. Non aveva smesso di essere un protagonista, non ha mai fatto il passo indietro di chi si sente nonno. Ecco, Nicolò ha avuto la fortuna di fargli conoscere le sue tre figlie, io non ho avuto il tempo e questo mi spiace».
Nicolò: «In realtà, non si sentiva nonno, ma si sentiva ancora padre. Ricordo che poco prima di morire, mi accompagnò a scegliere un alano. Fu un bel momento padre-figlio. Mentre mamma ama ricordare che, venti giorni prima di andarsene, papà fece il suo discorso più bello. Alla festa dei vent’anni di Leo raccontò a lui e ai suoi amici, tutti giovani con una vita agiata, di quando lui aveva avuto 20 anni durante la guerra, pesava “40 chili con la cintura” e rischiava di morire e non avrebbe mai immaginato di avere tutto quello che ha avuto. Mamma dice che quello è stato, per lui, una specie di testamento spirituale».